La più antica attestazione documentaria del castello di Sassoforte risale al 1076 e lo ritrae come uno dei possedimenti del conte Ildebrando Aldobrandeschi. Agli inizi del XIII il reale dominio sul castello è esercitato dalla famiglia che prenderà il nome di conti di Sassoforte, potenti vassalli degli Aldobrandeschi. In seguito a continue dispute con la città di Siena, legate alle alterne fortune delle fazioni guelfa o ghibellina, ed a lotte con il ramo aldobrandesco dei conti di Santa Fiora, negli anni ’30 del XIV secolo la rocca fu venduta a Siena, la quale ordinò l’abbattimento delle mura e del cassero.
Alla seconda metà del secolo la proprietà della fortificazione è attribuita alla famiglia dei Salimbeni ma lo stato di abbandono in cui versava ne fece decretare lo stato di ‘appartenente al contado di Siena’ e gli abitanti confluirono nel sito di mezza costa chiamato Sassofortino.
Le imponenti strutture del castello, oggi allo stato di maestosi ruderi, si estendevano ad occupare la sommità del monte Sassoforte, 789 s.l.m., dal quale la vista si spinge fino alla stessa città di Siena, oltre a controllare la pianura del Bruna e parte delle Colline Metallifere. Il percorso che conduce alle rovine è costellato da enormi massi di roccia trachitica, valida fonte di approvvigionamento di materiale da costruzione, alla quali si aggiungono le pareti di roccia immediatamente sottostanti le mura del castello, certamente utilizzate come cave e allo stesso tempo come parte delle difese del centro.
Sia le evidenze materiali che la ricognizione di superficie non hanno prodotto dati sufficienti a dimostrare una fase di occupazione più antica dell’epoca della prima attestazione documentaria.
La planimetria dell’insediamento ricalca una forma irregolarmente ellittica la cui porzione meridionale era occupata dalle numerose abitazioni che componevano il borgo, cinte da una prima cortina muraria edificata sul limite dello sbalzo roccioso. La terrazza che ospita il cassero, i resti dei probabili edifici signorili e quelli dell’edificio ecclesiastico, è situata ad una quota leggermente più elevata ed occupa la porzione settentrionale della vetta.
In corrispondenza dell’angolo sud-ovest del circuito murario si trova una rampa di accesso che permette, oggi come in origine, l’accesso al borgo attraverso un varco nella cinta difensiva. La rampa, ricavata nell’affioramento roccioso, è costituita da un piano inclinato alternato a rozzi gradini, largo poco meno di due metri nel punto più ampio, e segnato da numerose incisioni trasversali e parallele tra loro scolpite per evitare di scivolare. I solchi incisi restituiscono le tracce di uno strumento dalla punta abbastanza massiccia di 1.5-2 cm circa di larghezza, forse una sorta di picconcello da cavatore grossolanamente adoperato.
Del muro di cinta si conservano ampi lacerti costituiti da una robusta muratura a sacco, 1.70 metri di spessore, composta da conci sbozzati in maniera abbastanza accurata ma privi nella maggior parte dei casi di ulteriori finiture superficiali. La regolarità delle facce orizzontali delle bozze potrebbe essere stata semplicemente determinata cavando il blocco in corrispondenza dei naturali piani di deposizione della roccia. Le rare tracce attribuibili ad un trattamento delle superfici rimandano ad una subbia. Le bozze sono apparecchiate in filari, mediamente alti 20 cm, orizzontali e paralleli, raramente sdoppiati, con rare zeppe nei giunti e nei letti di posa i quali ultimi sono sottili e più o meno regolari, anche se attualmente dilavati.
Dalla sezione muraria, visibile nei punti in cui il paramento murario ha ceduto, apprendiamo che le bozze venivano lavorate in forma di cuneo in corrispondenza della faccia interna, per permettere un migliore ancoraggio al sacco del muro. Il nucleo è organizzato secondo bancate regolari, ognuna delle quali corrisponde ad un filare, composte da blocchi spaccati di medie e grandi dimensioni affogate in abbondanti letti di una malta estremamente tenace con interstizi riempiti da pietrame di piccole dimensioni e schegge di lavorazione della pietra.
Camminando tra le rovine delle case del borgo, sono numerose le evidenze che si riferiscono a vasche di varie forme e dimensioni scavate negli affioramenti rocciosi per la raccolta delle acque piovane. Alcune di queste sono dotate anche di foro per la fuoriuscita ed il ricambio dell’acqua. La composizione della roccia vulcanica ben si prestava all’opera di scavo anche ad una mano non esperta.
Tra le case del borgo e le mura del cassero, troviamo una costruzione a pianta rettangolare sviluppata almeno su due livelli e suddivisa in un momento successivo in due ambienti da un muro centrale. L’edificio si caratterizza per un’estrema raffinatezza nella realizzazione delle numerose monofore e feritoie, nicchie e soffitti le cui travi si impostavano su mensole aggettanti la muratura associate ad un regolare sistema di buche pontaie. In relazione alla funzione sono state avanzate ipotesi circa una possibile destinazione a sede del palazzo pubblico di giustizia, topograficamente collocato a metà strada tra il borgo e le strutture di pertinenza signorile.
La tecnica muraria che si registra in questo caso è lievemente più accurata e la lavorazione dei conci è assimilabile ad una buona ma non perfetta squadratura. Manca, anche se in parte a causa del degrado della roccia, una forma di finitura superficiale dei conci, tuttavia nelle angolate gli spigoli sono più vivi che nel resto del paramento per cui, trattandosi dello stesso litotipo, è evidente che per il paramento la finitura non venisse effettuata. Soltanto in qualche raro caso, come gli stipiti di alcune tra le numerose scansie ricavate nello spessore del muro, si è conservata la traccia di un nastrino largo circa 3 cm e rifinito a scalpello mentre il resto della superficie presenta una finitura eseguita a punta. Le altezze medie dei filari sono comprese tra i 17 ed 22 cm.
Una perfetta squadratura è riservata ai conci che costituiscono gli stipiti o gli architravi monolitici delle nicchie, gli stipiti a profilo inclinato e i cunei passanti delle monofore. Almeno in uno degli esempi conservati il coronamento di una delle monofore è costituito da un archivolto monolitico, con profilo a tutto sesto, ingentilito nella superficie esterna da un’incisione che riproduce un arco a sesto acuto ed ha abbassato di poco il piano del concio stesso. La fattura è raffinata e per quanto possibile vedere, l’archivolto si trova a circa tre metri da terra, eseguita con uno strumento a punta fine. Il davanzale della stessa apertura inoltre, con sezione ad U e scolpito in un unico concio di pietra, presenta in corrispondenza della sua faccia inferiore un piccolo foro circolare probabilmente funzionale al deflusso delle acque. La cavità ha intaccato anche il concio sottostante evidenziando come si sia trattato di un lavoro eseguito quando l’elemento era già stato posto in opera. La tecnica muraria, la tipologia edilizia e dell’apparato decorativo permettono di attribuire la costruzione dell’edificio ad un orizzonte cronologico di XIII secolo avanzato.
Nell’angolo nord-ovest della spianata sommitale, edificati a cavaliere del limite del pendio ed in origine parzialmente aggettanti rispetto allo stesso, si conservano gli esigui resti architettonici attribuiti all’edificio ecclesiastico del castello. Si tratta della porzione di una finestra, in relazione alla quale ad uno stipite a sezione inclinata si associa un trattamento delle superfici lapidee estremamente raffinato. Il bordo dei conci perfettamente squadrati che compongono lo stipite è sottolineato da una ghiera a sezione circolare, scolpita quasi in tutto tondo con uno strumento a punta sottile. Certamente i caratteri tecnici e decorativi registrati impediscono di associare quanto osservato alla chiesa citata nel documento del 1076, tuttavia potrebbe essere plausibile ipotizzare una ricostruzione dell’edificio ecclesiastico nel medesimo luogo in cui sorgeva quello più antico.
Delle fortificazioni del cassero si è conservato un alto muro che cinge il lato sud, rivolto verso il borgo, profondamente degradato ma provvisto ancora di una porta di accesso coronata da un architrave monolitico, distaccatosi con il tempo, impostato su mensole aggettanti gli stipiti e decorate con motivo vegetale. Alla sommità del muro due beccatelli a sezione circolare, uno dei quali crollato dentro una profonda lesione del muro, fungevano da sostegno per caditoie poste a protezione dell’accesso. La porta è larga 1.19 m ed alta 1.96 m circa. All’estremità sud-occidentale l’angolo del muro di recinzione del cassero, edificato in più punti secondo le forme degli affioramenti di roccia, è fortificato da una torre angolare aperta in corrispondenza del lato interno del cortile.
Un dettaglio particolarmente interessante è rappresentato da un’incisione effettuata nel terzo concio sotto la mensola dello stipite sinistro, che riproduce uno stemma a forma di scudo, un triangolo con il vertice rivolto verso il basso. L’incisione, larga 12 cm nella parte alta ed alta 16 cm, ha previsto un graduale abbassamento del piano del concio realizzata probabilmente da una punta fine. I motivi incisi all’interno dello scudo sono rappresentati da linee orizzontali non meglio definibili.
In corrispondenza del lato interno del paramento murario, si nota che un’ampia porzione della muratura circostante l’ingresso è aggettante rispetto al resto del muro del cassero di 36 cm circa e sul lato sinistro alla cinta si lega un muro perpendicolare, lungo poco più di 2 metri, con una feritoia attualmente al livello del suolo, legato probabilmente ad un ulteriore controllo dell’accesso all’area signorile. Le tracce orizzontali presenti nello spessore dell’apertura si riferivano ad un sistema di chiusura.
I paramenti murari che costituiscono le mura del cassero e del grande palazzo situato a breve distanza dalle mura sono costituiti da un’apparecchiatura di conci sommariamente squadrati posti in opera per filari orizzontali e paralleli con giunti sempre ben sfalsati ma con letti di posa ampi ed irregolari, regolarizzati da scarse zeppe litiche o in laterizi. Una lavorazione più accurata è riservata soltanto ai conci delle angolate, degli stipiti o agli elementi architettonici.
Le analogie che accomunano le tecniche costruttive delle mura difensive del bordo, del cassero sommitale e del palazzo interno potrebbero essere ricondotte ad un ambito cronologico di fine XII-inizio XIII secolo.
Appena entrati dalla porta ci troviamo di fronte un troncone di muro crollato, il cui spessore si aggira intorno ad 1.90 metri. Altri monumentali frammenti relativi alla stessa struttura si trovano al centro dell’area aperta interna al cassero, in corrispondenza di un rilievo che potrebbe essersi formato a seguito del crollo di questo edificio. La tecnica costruttiva si caratterizza per l’impiego di conci di dimensioni medio-grandi perfettamente squadrati, e posti in opera per filari orizzontali e paralleli con giunti e letti di malta sottili e regolari. Potrebbe trattarsi dell’unica evidenza che ci è pervenuta in relazione ad un possibile edificio signorile edificato, in base alle caratteristiche dei paramenti murari, nel corso del XII secolo, forse proprio una di quelle strutture la cui distruzione fu ordinata dalla città di Siena nel 1330.[2]
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