Di quanto benefizio sia agli ingegni la povertà, di qualunque spezie essi siano, e quanto ella sia potente cagione di fargli venire perfetti ne’ sommi gradi delle eccellenzie, assai chiaramente si mostra nelle azzioni di Pietro Perugino. Il quale, partitosi da le estreme calamità di Perugia e condottosi a Fiorenza, desiderando col mezzo della virtú di pervenire a qualche grado, stette molti mesi, non avendo altro letto, poveramente a dormire in una cassa; fece de la notte giorno, e con grandissimo fervore continovamente attese allo studio della sua professione. Et avendo fatto lo abito in quello, nessuno altro piacere conobbe che di affaticarsi sempre in quella arte e sempre dipignere. Perché, avendo sempre dinanzi a gli occhi il terrore della povertà, faceva cose per guadagnare, che e’ non arebbe forse guardate, se avesse avuto da mantenersi. E per adventura tanto gli arebbe la ricchezza chiuso il camino da venire eccellente per la virtú, quanto glielo aperse la povertà e ve lo spronò il bisogno, desiderando venire da sí misero e basso grado, se e’ non poteva a ’l sommo e supremo, ad uno almeno dove egli avesse da sostentarsi. Per questo non si curò egli mai di freddo, di fame, di disagio, di incomodità, di fatica, né di vergogna, per potere vivere un giorno in agio e riposo; dicendo sempre, e quasi in proverbie, che dopo il cattivo tempo è necessario che e’ venga il buono, e che quando è buon tempo si fabricano le case per potervi stare al coperto quando e’ bisogna. Ma perché meglio si conosca il progresso di questo artefice, cominciandomi da ’l suo principio, dico secondo la publica fama che nella città di Perugia nacque ad una povera persona un figliuolo, al battesimo chiamato Pietro. Il quale, allevato fra la miseria e lo stento, fu dato dal padre per fattorino a un dipintore di Perugia, il quale non era molto valente in quel mestiero, ma aveva in gran venerazione e l’arte e gli uomini che in quella erano eccellenti. Né mai con Pietro faceva altro che dire di quanto guadagno et onore fussi la pittura a chi ben la esercitasse. E contandoli i premii già delli antichi e de’ moderni, confortava Pietro a lo studio di quella. Onde gli accese l’animo di maniera, che gli venne capriccio di volere (se la fortuna lo volessi aiutare) essere uno di quelli. E però spesso usava di domandare qualunque conosceva essere stato per il mondo in che parte meglio si facessino gli uomini di quel mestiero, e particularmente il suo maestro. Il quale gli rispose sempre di un medesimo tenore, ciò è che in Firenze piú che altrove venivano gli uomini perfetti in tutte l’arti, e specialmente nella pittura. Atteso che in quella città sono spronati gli uomini da tre cose: l’una, da ’l biasimare che fanno molti e molto, per far quell’aria gli ingegni liberi di natura, e non contentarsi universalmente dell’opere pur mediocri, ma sempre piú ad onore del buono e del bello, che a rispetto del facitore considerarle; l’altra, che a volervi vivere bisogna essere industrioso, il che non vuole dire altro che adoperare continuamente l’ingegno et il giudizio et essere accorto e presto nelle sue cose, e finalmente saper guadagnare, non avendo Firenze paese largo et abbondante, di maniera che e’ possa dar le spese per poco a chi si sta, come dove si truova del buono assai. La terza, che non può forse manco dell’altre, è la ambizione che genera quell’aria, la quale in tutte le persone che hanno spirito, non pur consente che gli uomini voglino stare al pari, nonché restare in dietro a chi e’ veggono essere uomini come sono essi, benché gli riconoschino per maestri; ma gli sforza bene spesso a desiderar tanto la propria grandezza, che se non sono benigni di natura o savi, riescono mal dicenti, ingrati e sconoscenti de’ benefizii. È ben vero che quando l’uomo vi ha imparato tanto che basti, volendo far altro che vivere come gli animali giorno per giorno e desiderando farsi ricco, bisogna partirsi di quivi e vender fuora la bontà delle opere sue e la riputazione di essa città; come fanno i dottori quella del nostro studio. Perché Firenze fa de li artefici suoi quel che il tempo de le sue cose; che fatte, se le disfa e se le consuma a poco a poco. Da questi avvisi dunque e dalle persuasioni di molti altri mosso, venne Pietro in Fiorenza con animo di farsi eccellente; e bene gli venne fatto, con ciò sia che al suo tempo le cose della maniera sua furono tenute in pregio grandissimo.
Studiò sotto la disciplina d’Andrea Verrocchio, e le prime sue figure furono fuor della porta al Prato, in San Martino alle monache, oggi ruinato per le guerre; et in Camaldoli un San Girolamo in muro allora molto stimato da’ Fiorentini e con lode messo inanzi. Venne in pochi anni in tanto credito, che de l’opre sue s’empiè non solo Fiorenza et Italia, ma la Francia, la Spagna e molti altri paesi, dove elle furono mandate. Laonde, venute le cose sue in riputazione e pregio grandissimo, cominciarono i mercanti a fare incetta di quelle, et a mandarle fuori in diversi paesi, con utile e guadagno loro molto eccessivo. Lavorò alle donne di Santa Chiara una tavola con un Cristo morto, colorito tanto vago e nuovo di colori vivacissimi, che e’ confermò l’opinione degli artefici dell’essere maraviglioso et eccellente; ma molto piú celebre e mirabile ne gli altri popoli, i quali vedendo la novità della maniera quasi moderna, con infinite lode lo esaltarono. Veggonsi in questa opera alcune bellissime teste di vecchi, e similmente certe Marie, che restate di piagnere, considerano il Morto con ammirazione e con amore straordinario, oltra che egli vi fece un paese che fu tenuto grandissimo. Dicesi che Francesco del Pugliese volse dare a quelle monache tre volte tanti danari, quanto elle avevano pagati a Pietro, e farne far loro una simile a quella, di sua man propia medesimamente, e che elle non volsono acconsentire, percioché Pietro disse che non arebbe creduto paragonarla. Fuor della porta a’ Pinti, al convento de’ frati Giesuati, oggi per l’assedio di Fiorenza mandato a terra, fece a un priore, molto suo amico, di molte opere; delle quali ora sono rimaste quelle che furon fatte in tavola, ch’è un Cristo nell’orto e gli Apostoli che dormono, ne’ quali mostrò Pietro quanto vaglia il sonno contra gli affanni et i dispiaceri, avendogli figurati dormire in attitudini molto agiate, con fresca e leggiadra maniera condotto; et una tavola d’una Pietà in grembo alla Nostra Donna, con quattro figure intorno, non manco buona che tutte l’altre della maniera sua. Dove in grembo a Nostra Donna fece un Cristo morto, intirizzato come se E’ fusse stato tanto in croce, che lo spazio et il freddo L’avessino ridotto cosí; e Lo fece reggere e sostenere da San Giovanni e dalla Maddalena, molto afflitti e piangenti la morte del Signore. Lavorò in un’altra tavola un Crocifisso con la Maddalena, a’ piedi San Girolamo, San Giovanni Batista e ’l Beato Giovanni Colombino, fondatore di tal religione, con infinita diligenza. Per il che, essendo da’ Fiorentini molto commendate l’opre sue, a un priore di quel convento, che si dilettava dell’arte, in un primo chiostro fece in muro una Natività coi Magi di minuta maniera, con vaghezza e pulitezza grande a perfetto fine condotta; dove era numero infinito di teste variate, e ritratti di naturale non pochi, fra i quali era la testa d’Andrea del Verrochio suo maestro. Fece in detto cortile un fregio sopra gli archi delle colonne, con teste quanto il vivo, molto ben condotte, delle quali era una quella del priore tanto viva e di buona maniera lavorata, che fu giudicata da peritissimi artefici la miglior cosa che mai facesse Pietro. Fu fatto seguitare in uno altro chiostro, sopra la porta che andava in refettorio, una storia, quando Papa Bonifazio conferma l’abito al beato Giovanni Colombino, dove era in tale storia una prospettiva bellissima che sfugiva, della quale scienzia Pietro oltra modo si dilettò e studiò continuamente. Sotto a questo in un’altra storia cominciava la Natività di Cristo con alcuni angeli e pastori, con freschissimo colorito, et aveva fatto sopra la porta d’uno oratorio in convento, uno arco con tre mezze figure: la Nostra Donna, San Girolamo e ’l Beato Giovanni, con tanta bontà della maniera sua, che de l’opere che in muro lavorò, quella era stimata la piú continuata in eccellenza. Venne tanto famoso il grido di Pietro, che fu sforzato dipignere a Siena in San Francesco una tavola grande, che fu tenuta lodatissima, e similmente in quella città in Santo Agostino un’altra, dentrovi un Crocifisso con alcuni santi. E poco dopo questo, a Fiorenza nella chiesa di San Gallo fece una tavola di San Girolamo in penitenzia, che oggi è in San Iacopo tra’ Fossi, dove detti frati dimorano, vicino al canto de gli Alberti. Fu fattogli allogazione d’un Cristo morto con San Giovanni e la Madonna, sopra le scale della porta del fianco di San Pier Maggiore, e lavorollo in maniera, che sendo stato all’acqua et al vento, s’è conservato con quella freschezza, come se pur ora dalla man di Pietro fosse finito. Certamente i colori furono dalla intelligenza di Pietro conosciuti, cosí il fresco come l’olio; onde obligo gli hanno tutti i periti artefici, che per suo mezzo hanno cognizione de’ lumi che per le sue opere si veggono. In Santa Croce in detta città, una Pietà col morto Cristo in collo, e due figure che danno maraviglia a vedere, non la bontà di quelle, ma il suo mantenersi sí viva e nuova di colori, dipinti in fresco. Gli fu allogato da Bernardino de’ Rossi cittadin fiorentino un San Sebastiano per mandarlo in Francia; e furono d’accordo del prezzo in cento scudi d’oro; la quale opera fu venduta da Bernardino al Re di Francia quattro cento ducati d’oro. A Valle Ombrosa dipinse una tavola per lo altar maggiore, e nella Certosa di Pavia lavorò similmente una tavola a que’ frati. Dipinse al cardinal Caraffa di Napoli nello Piscopio una tavola allo altar maggiore, dentrovi l’Assunzione di Nostra Donna e gli Apostoli ammirati intorno al Sepolcro. Et allo Abbate Simone de’ Graziani al Borgo a San Sepolcro una tavola grande, la quale fece in Fiorenza, che fu portata in San Gilio del Borgo sulle spalle de’ facchini con ispesa d’infinito numero di danari. Mandò a Bologna a San Giovanni in Monte una tavola con alcune figure ritte et una Madonna in aria; perché talmente si sparse la fama di Pietro per Italia e fuori, che e’ fu da Sisto IIII Pontefice con molta sua gloria condotto a Roma a lavorare nella cappella in compagnia de gli altri artefici eccellenti; dove fece la storia di Cristo quando dà le chiavi a San Pietro, in compagnia di Don Pietro della Gatta Abate di San Clemente di Arezzo; e similmente la Natività e ’l Battesimo di Cristo, e ’l nascimento di Mosè, quando dalla figliuola di Faraone è ripescato nella cestella. E nella medesima faccia dov’è l’altare, fece la tavola in muro con l’Assunzione della Madonna, dove ginocchioni ritrasse Papa Sisto. Ma queste opere furono mandate a terra per fare la facciata del Giudicio del divin Michele Agnolo, al tempo di Papa Paolo III. Lavorò una volta in Torre Borgia nel palazzo del papa con alcuni tondi, storie di Cristo, e fogliami di chiaro oscuro, i quali ebbero al suo tempo nome straordinario di essere eccellenti. In Roma medesimamente in San Marco fece una storia di due martiri allato al Sacramento. Le quali opere gli misero in mano grandissima quantità di danari; laonde risolutosi a non stare piú in Roma, partitosene con buon favore di tutta la corte, a Perugia sua patria se ne tornò, et in molti luoghi della città finí tavole e lavori a fresco. E ritornato a Fiorenza fece ne’ monaci di Cestello una tavola di San Bernardo, e nel capitolo un Crocifisso con San Benedetto e San Bernardo, la Nostra Donna e San Giovanni. A San Domenico da Fiesole una tavola, dentrovi una Nostra Donna con tre figure, fra le quali è un San Sebastiano lodatissimo. Aveva Pietro tanto lavorato e tanto gli abondava sempre da lavorare, che e’ metteva in opera le medesime cose. Et era talmente la dottrina della arte sua ridotta a maniera, che e’ faceva a tutte le figure una aria medesima. Per il che, sendo venuto già Michele Agnolo Buonarroti al suo tempo, molto desiderava grandemente Pietro vedere le figure di quello, per lo grido che gli davano gli artefici. E vedendosi occultare la grandezza di quel nome, che con sí gran principio per tutto aveva acquistato, cercava molto, con mordaci parole, offendere quelli che operavano. E per questo meritò, oltre alcune brutture fattegli da gli artefici, che Michele Agnolo in publico gli dicesse ch’egli era goffo nell’arte. Ma non potendo Pietro comportare tanta infamia, al magistrato de gli Otto tutti due ne furono, e con assai suo poco onore vituperatolo, che superbo era, Michele Agnolo si partí. Avvenne che i frati de’ Servi di Fiorenza, avendo volontà di avere la tavola dello altar maggiore che fussi fatta da persona famosa, mediante la partita di Lionardo da Vinci che se ne era ito in Francia, l’avevano renduta a Filippino, et egli quando n’ebbe fatto la metà d’una di due tavole che v’andavano, passò di questa all’altra vita. Onde i frati per la fede che avevono in Pietro, gli feciono allogazione di tutto il lavoro. Aveva Filippino finito in quella tavola dove egli faceva Cristo deposto di croce, i Niccodemi che lo depongono; e Pietro seguitò di sotto lo svenimento della Nostra Donna et alcune altre figure. Andavano in questa opera due tavole, che l’una voltava in verso il coro de’ frati, e l’altra in verso il corpo della chiesa; dietro al coro si aveva a porre il Diposto di croce, e dinanzi l’Assunzione di Nostra Donna, la qual Pietro fece tanto ordinaria, che fu messo il Cristo deposto dinanzi, e l’Assunzione dalla banda del coro. E queste oggi, per mettervi il tabernacolo del Sacramento, sono state l’una e l’altra levate via; e per la chiesa, messe in su certi altari, è rimasto in quell’opera solamente sei quadri, dove sono alcuni santi dipinti da Pietro in certe nicchie. Dicesi che quando detta opera si scoperse poi fu da tutti i nuovi artefici assai biasmata. Erasi Pietro servito di quelle figure ch’altre volte era usato mettere in opera, dove tentandolo gli amici suoi dicevano che affaticato non s’era e che aveva tralasciato il buon modo dell’operare, e per avarizia e per non perder tempo era incorso in tale errore. Ai quali Pietro rispondeva: "Io ho messo in opera le figure altre volte lodate da loro, e songli infinitamente piacciute; se ora gli dispiacciono e non le lodano, che ne posso io?" Ma coloro aspramente con sonetti e publiche villanie lo saettavano. Onde egli, già vecchio partitosi da Fiorenza e tornatosi a Perugia, condusse alcuni lavori a fresco nel Cambio di quella città, e cominciò un lavoro a fresco pure di non poca importanza a Castello della Pieve. Soleva Pietro, sí come quello che di nessuno si fidava, mentre andava e veniva da Castello della Pieve a Perugia, portare di molti danari addosso, anzi quanti n’aveva; per il che alcuni aspettatolo lo rubbarono, e raccomandandosi molto, gli lasciarono la vita per Dio. Laonde egli, operando mezzi che pure n’aveva assai, infine della liberazione gran parte ne riebbe, ma fu per dolore vicino a morirsi.
Era Pietro persona di assai poca religione, e non si gli puotè già mai far credere l’immortalità dell’anima, anzi con parole accomodate al suo cervello di porfido, ostinatissimamente recusava ogni buona via. Aveva ogni sua speranza ne’ beni della fortuna, e per danari arebbe fatto ogni mal contratto. Guadagnò infinite ricchezze, et in Fiorenza murò e comprò case, et in Perugia et a Castello della Pieve similmente acquistò molti beni stabili. Tolse per moglie una donna bellissima, et ebbene figliuoli, e dillettossi molto ch’ella portasse leggiadre acconciature in casa e fuori. E venuto in vecchiezza, d’anni LXXVIII di un mal di febbre continua finí la vita sua nel Castello della Pieve, e da’ suoi parenti e figliuoli con pompa e pianti infiniti onoratamente fu sepolto l’anno MDXXIIII. Né di poi è mancato chi gli abbia fatto questo epitaffio:
GRATIA SI QVA FVIT PICTVRAE, SI QVA VENVSTAS,
SI VIVAX, ARDENS CONSPICVVSQVE COLOR,
OMNIA SVB PETRI (FVIT HIC PERVSINVS APPELLES)
DIVINA REFERVNT EMICVISSE MANV.
PERPVLCHRE HIC PINXIT, MIRAQVE EBVR ARTE POLIVIT,
ORBIS QVAE TOTVS VIDIT ET OBSTVPVIT.
Fece molti maestri di quella maniera, ma uno fra tutti eccedè, che datosi a piú onorati studi di gran lunga vinse il maestro, e fu questo il miracoloso Raffaello Sanzio da Urbino, il quale molti anni lavorò con Pietro in compagnia di Giovanni de’ Santi suo padre; il Pinturicchio pittor perugino, che sempre tenne la maniera di Pietro; Rocco Zoppo fiorentino, il Monte Varchi pittore, Baccio Ubertini et il suo fratello fiorentini, Gerino Pistolese pittore e Niccolò Soggi fiorentino, il quale in Roma lavorò il quadro di Santa Prassedia et a Prato fece la tavola della Madonna delle Carceri, e si mise ad abitare in Arezzo, dove fece una storia nella Madonna delle Lagrime vicino a una volta della minor tribuna, e nel medesimo luogo lavorò una tavola della Natività et altre opere infinite in quella città et altrove. Attese continovamente alla prospettiva, et in quella città visse e morí. Lasciò Pietro ereditaria la pittura d’una maniera vaga et onorata di colori, cosí nel fresco come all’olio, e durò tal cosa per Italia a imitarsi fino che venne la maniera di Michele Agnolo Buonarroti. E’ mostrò a gli artefici che chi lavora continuo e non a ghiribizzi, lascia opere, nome, facultà et amici. |
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Pietro Perugino
Pietro Perugino, Autoritratto dall'affresco del Collegio del Cambio a Perugia, 1497–1500,
Collegio del Cambio, Perugia. |