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Una prima cattedrale di Arezzo sorse sul vicino Colle del Pionta, sul luogo in cui era sepolto e venerato il santo martire Donato, decapitato nel 363. Nel 1203 papa Innocenzo III ordinò di trasferire la cattedrale entro le mura cittadine sul sito in cui sorge oggi. Il Duomo però perse le spoglie del santo, trasferite presso la chiesa di San Donato a Castiglione Messer Raimondo in provincia di Teramo. Ciononostante il Duomo di Arezzo è ancora intitolato a San Donato e conserva sull'altare principale una pregevole arca marmorea trecentesca a lui dedicata.[1]
La costruzione del duomo di Arezzo odierno, avvenuta a partire dal 1278, ha avuto fasi diverse, concluse solo nel 1511. La facciata fu costruita tra il 1901 e il 1914, sostituendo la precedente, incompiuta, del XV secolo.
Parrocchia Dei Santi Donato E Pietro In Cattedrale
Indirizzo: 1 Piazza Del Duomo, Arezzo, AR 52100
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Duomo, Cattedrale dei Santi Pietro e Donato ad Arezzo
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Piero della Francesca, Maria Maddalena
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Maria Maddalena è un affresco (190x105 cm) di Piero della Francesca, databile al 1460-1466 e conservato all'interno della Cattedrale di San Donato ad Arezzo, nella navata sinistra vicino alla porta che conduce alla sagrestia.
L'opera è strettamente legata agli affreschi delle Storie della Vera Croce di San Francesco, eseguiti da Piero in due fasi: dal 1452 al 1458 e dal 1459 al 1466.
Solidamente dipinta attraverso una geometria del colore levigata e pura, la figura, caratterizzata dagli elementi tipici dell’iconografia della Maddalena, ispira un senso grave e solenne di sacralità.
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Piero della Francesca, Maria Maddalena (particolare), affresco, 190 cm × 105 cm, Cattedrale di San Donato, Arezzo
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L'affresco della Maddalena in particolare viene messo in relazione di solito a una fase finale degli affreschi, da alcuni è addirittura indicata come la prima opera dopo il completamento del ciclo.
L'affresco è ricordato da Giorgio Vasari, assieme a molte opere aretine perdute, nella biografia di Piero nelle Vite:
« Fece nel Vescovado di detta città una Santa Maria Maddalena a fresco, allato a la porta della sagrestia » (Vite, 1550)
Ciò fa pensare che, almeno al 1550, l'opera fosse un unicum, non facente cioè parte di un ciclo più ampio. Oggi l'affresco risulta seminascosto dal monumentale cenotafio del vescovo Guido Tarlati, qui addossato nel 1783.
Descrizione e stile
La figura della Maddalena si trova incorniciata da un'arcata a tutto sesto dipinta, dallo stile classicheggiante. La presenza di motivi vegetali sulla ghiera è una decorazione che non si riscontra nell'architettura reale, né classica né dell'epoca, ma compare in vari dipinti di ambito romano dell'epoca, come la cappella Niccolina di Beato Angelico. Per questa caratteristica e per gli effetti luministici, l'opera viene in genere datata a dopo il soggiorno romano dell'artista (1458-1459).
La Maddalena si erge a dimensioni naturali, con lo sguardo abbassato verso lo spettatore e sullo sfondo di una balaustra e di un cielo azzurro. La cornice le dà la consistenza monumentale di una statua in una nicchia. Il ritratto incede su una dolce bellezza giovanile, sottolineata dalla postura fiera del collo, la fronte alta e nobile, le fossette ai lati della bocca, le sopracciglia leggermente innalzate.
La veste ed il mantello sono trattati con un panneggio estremamente plastico, con il ricorso ai colori complementari rosso/verde, uniti al luminoso bianco della fodera. I capelli della santa sono lunghi come da tradizione iconografica, cadenti sulle spalle in tenere ciocche, raffinatamente dipinte una a una.
La luce è chiara e nitida, che dà ai colori un tono delicato e armonico, su superfici ampie. Questa caratteristica di Piero deriva dalla lezione di Domenico Veneziano, ma è anche possibile che avesse avuto modo di vedere alcune opere di Antonello da Messina a Roma.
Maddalena tiene in mano l'attributo dell'ampolla degli unguenti, con il quale avrebbe cosparso il corpo di Cristo. L'ampolla mostra un virtuosistico uso della luce che restituisce il lustro brillante del vetro, particolarmente difficile nella tecnica ad affresco, facendola quasi assomigliare a una fonte di luce.
Mappa
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Piero della Francesca, Maddalena, affresco, 190 cm × 105 cm, Cattedrale di San Donato, Arezzo
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I Monumenti della Provincia di Arezzo
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Al centro della città Piazza Grande dispiega una vera antologia di stili architettonici. Accanto alle torri medievali, si ergono l'imponente Loggiato Vasariano, una delle più interessanti opere architettoniche rinascimentali; il Palazzo della Fraternita dei Laici, bell'esempio di sintesi di architettura gotica e rinascimentale e l'abside della Pieve di Santa Maria. Piazza Grande, il penultimo sabato di giugno e la prima domenica di settembre, diventa lo scenario della Giostra del Saracino, torneo cavalleresco di origini medioevali. La stessa piazza e gran parte del centro storico ospitano, ogni prima domenica del mese ed il sabato precedente, la Fiera Antiquaria. La cappella Bacci nella Basilica di San Francesco accoglie lo straordinario ciclo di affreschi della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca, una delle più alte testimonianze della pittura rinascimentale italiana. Nella Chiesa di San Domenico, semplice costruzione a navata unica, si conserva la croce dipinta di Cimabue, opera giovanile dell'artista. Molte altre chiese e palazzi testimoniano con la loro bellezza e la loro originalità stilistica la civiltà aretina e la sua importanza nelle varie epoche storiche. Ricordiamo tra queste la Badia delle Sante Flora e Lucilla, la Chiesa della Santissima Annunziata, edifici come Palazzo Pretorio e Palazzo dei Priori, e a qualche minuto fuori le mura della città, la Chiesa di Santa Maria delle Grazie, la Pieve romanica di Sant'Eugenia al Bagnoro. I musei della città offrono ai visitatori la possibilità di ammirare una varietà di beni di inestimabile valore artistico: il Museo Archeologico Gaio Cilnio Mecenate, il Museo Statale d'Arte Medioevale e Moderna, il Museo e Casa Vasari, la Casa Museo Ivan Bruschi e il Museo Diocesano.
[I Monumenti della Provincia di Arezzo | www.turismo.provincia.arezzo.it]
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La Basilica di San Francesco
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Costruita alla fine del '200, in stile gotico-toscano, la Basilica di San Francesco conserva nalla Cappella Bacci il celebre ciclo di affreschi della Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca (XV sec.).
'Nel 1447 la famiglia aretina Bacci affidò al fiorentino Bicci di Lorenzo l’incarico di decorare la Cappella Maggiore della chiesa, allora sotto il loro patronato. Alla morte del pittore, nel 1452, erano stati dipinti, nella grande volta a crociera, soltanto i quattro "Evangelisti", il prospetto dell’arco trionfale con il "Giudizio Universale" e i due "Dottori della Chiesa" nell’intradosso dell’arco. Si presume che Piero della Francesca abbia subito proseguito i lavori, iniziando dalla parte interrotta. Il tema del ciclo è tratto dalla "Leggenda Aurea" di Jacopo da Varagine, fonte iconografica sulla quale si basano molte raffigurazioni degli artisti toscani ed italiani a partire dal Trecento.
Come risulta da un documento notarile, i lavori, interrotti negli anni 1458/ 1459, risultano già terminati nel 1466. La vicenda narrata pittoricamente attraverso 12 episodi principali, inseriti nei diversi registri che compongono il ciclo, comincia dalla Morte di Adamo, rappresentata nel lunettone della parete destra e si conclude con l’Esaltazione della Vera Croce, nel lunettone della parete sinistra, e l' Annunciazione, non seguendo tuttavia la sequenza cronologica di esecuzione degli affreschi realizzati dall’alto verso il basso, da sinistra verso destra, su 7 diverse "pontate" e ripartita in oltre 250 "giornate di lavoro".[2]'
Il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo
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La Cappella Maggiore di San Francesco, Arezzo |
La chiesa di San Domenico è uno dei più rinomati edifici sacri di Arezzo per la presenza, al suo interno del Crocifisso ligneo dipinto da Cimabue, considerato uno dei capolavori della pittura del Duecento, databile alla fine degli anni sessanta. Il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo è la prima opera di Cimabue, databile attorno al 1270.
'La ricostruzione cronologica della vita e delle opere di Cimabue è ancora uno dei più difficili problemi della storia dell'arte. Secondo gli studiosi, e ricollegandosi alle Vite del Vasari, Cimabue dovrebbe essere nato intorno al 1240-45. La sua bottega, molto probabilmente, era a Firenze e doveva svolgere un’attività molto intensa, poiché in alcune testimonianze risulta che il maestro aveva parecchi allievi. Unico esempio della produzione giovanile di Cimabue è il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo, opera di altissima qualità risalente al 1270 ca. Indiscutibile è la derivazione dalle croci di Giunta Pisano che ha già definito la nuova impostazione compositiva del Christus pathiens, cioè una visione drammatica del Cristo agonizzante, che sostituisce l’iconografia precedente del Christus triumphans. Cimabue parte dall’esempio di Giunta e imposta un’immagine analoga, ma aumentando l’espressione drammatica. Le linee di contorno sottolineano la tensione muscolare e le linee del viso che sono esasperate nella smorfia di dolore. Sullo schema ancora astratto, bizantineggiante (occhi a esse, ventre tripartito, lumeggiature del perizoma), Cimabue introduce un accenno di volume con un chiaroscuro più deciso e disegna le linee dei panneggi del perizoma in modo da accompagnare le forme del corpo. Alle estremità della croce, i '”dolenti'” (la Madonna e San Giovanni) piegano la testa, l’appoggiano alla mano con atteggiamento patetico e guardano lo spettatore che viene coinvolto nel dramma.' |
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Cimabue, Crocifisso, 1268-71, 336 x 267 cm, San Domenico, Arezzo |
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