Giorgio Vasari, ritratto di Cimabue, Sala Grande, Casa Vasari, Flirenze
   
 

Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori (1550)

Giovanni Cimabue

 
 
GIOVANNI CIMABUE

 

Erano per l’infinito diluvio dei mali, che avevano cacciato al di sotto et affogata la misera Italia, non solamente rovinate quelle che chiamar si potevano fabriche, ma, quel che importava assai piú, spentone affatto tutto ’l numero degli artefici, quando (come Dio volse) nacque nella città di Fiorenza l’anno MCCXL, per dare i primi lumi all’arte della pittura, Giovanni cognominato Cimabue, della famiglia de’ Cimabuoi in quel tempo nobile; il quale, crescendo, fu conosciuto non solamente dal padre ma da infiniti lo acume dello ingegno suo. Dicesi che, consigliato da molti, il padre deliberò farlo esercitare nelle lettere, e lo mandò a Santa Maria Novella a un maestro suo parente, il quale allora insegnava la gramatica ai novizii di quel convento; per il che Cimabue, che si sentiva non avere l’animo applicato a ciò, in cambio dello studio tutto il giorno andava dipignendo in su i libri o altri fogli, uomini, cavalli, casamenti e diverse fantasie, spinto dalla natura che le pareva ricever danno a non essere esercitata. Avvenne che in que’ giorni erano venuti di Grecia certi pittori in Fiorenza, chiamati da chi governava quella città non per altro che per introdurvi l’arte della pittura, la quale in Toscana era stata smarrita molto tempo. Laonde, avendo questi maestri presi molte opere per quella città, cominciorono infra l’altre la capella de’ Gondi, allato a la principale in Santa Maria Novella, della quale oggi dal tempo la volta e le facciate son molto spente e consumate; per il che Cimabue, cominciato a dar principio a questa arte che gli piaceva, si fuggiva spesso da la scuola e tutto il giorno stava a vedere lavorare que’ maestri; per il che fu giudicato dal padre e da que’ Greci che, se egli attendessi alla pittura, senza alcun dubbio egli verrebbe perfetto in quella professione. Fu aconcio con non sua piccola satisfazione alla arte della pittura con que’ maestri e, di continuo esercitandosi, in poco tempo la natura lo aiutò talmente, che passò di gran lunga di disegno e di colorito e’ maestri che gl’insegnavano; nel che, inanimito per le lode che egli si sentiva dare, messosi a maggior studio avanzò la maniera ordinaria che egli aveva visto in coloro i quali, non si curando passar piú innanzi, avevon fatto quelle opere nel modo che elle si veggono oggi; et ancora che egli imitassi i Greci, lavorò assai opere nella patria sua onorando quella con le fatiche che vi fece, et acquestò a se stesso nome et utile certo grandissimo. Ebbe costui per compagno et amico Gaddo Gaddi, il quale attese alla pittura con Andrea Taffi domestico suo, e levò da la pittura gran parte della maniera greca nelle figure dipinte da lui, come ne fanno fede in Fiorenza le prime opere che egli lavorò, come il dossale dello altare di Santa Cecilia et, in Santa Croce, una tavola dentrovi una Nostra Donna, che gli fu fatta dipignere da un guardiano di quel convento amicissimo suo, la quale fu appoggiata in un pilastro a man destra intorno al coro. La quale opera fu cagione che, avendolo servito benissimo, e’ lo condusse in Pisa in San Francesco lor convento, e quivi fece un San Francesco scalzo, il quale fu tenuto da que’ popoli cosa rarissima, conoscendosi nella maniera sua un certo che di nuovo e di miglior per l’aria delle teste e per le pieghe de’ panni, che piú non avevon fatto qui infino allora que’ maestri greci nelle lor pitture sparse già per tutta Italia. Cosí dunque prese pratica con questi frati, i quali lo condussono in Ascesi, dove nella chiesa di San Francesco lasciò una opera da lui cominciata, e da altri pittori dopo la morta sua finita benissimo. Costui lavorò nel Castello di Empoli nella pieve, et in Santo Spirito di Fiorenza nel chiostro, dove è dipinta alla greca da altri maestri tutta la banda di verso la chiesa, et ove sono medesimamente lavorati di sua mano tre archetti fra quegli, dentrovi storie della vita di Cristo. Fece poi nella chiesa di Santa Maria Novella una tavola, dentrovi una Nostra Donna, la quale è posta in alto, fra la cappella de’ Rucellai e de’ Bardi da Vernia, con alcuni angeli intorno ad essa, ne i quali, ancora che egli avesse la vecchia maniera greca, tuttavolta si vede che e’ tenne il modo et il lineamento della moderna. Fu quest’opera di tanta maraviglia ne’ populi di quel tempo, per non essersi veduto infino allora meglio, che di casa sua con le trombe perfino in chiesa fu portata, con solennissima processione, et egli premio straordinario ne ricevette. E dicesi che, mentre Cimabue ditta tavola dipigneva in certi orti vicin’ a Porta S. Piero, non per altro che per avervi buon lume e buon aere, e per fuggire la frequenzia de gli uomini, passò per la città di Fiorenza il Re Carlo Vecchio di Angiò, figliuolo di Lodovico, il quale andava al possesso della Sicilia chiamatovi da Urbano Pontefice, nimico capital di Manfredi, e che fra le molte accoglienze fattegli da gli uomini di quella città, e’ lo condussero a vedere la tavola di Cimabue, la quale, per ciò ch’ancora non era stata veduta da alcuno, mostrandosi al re, subito vi concorsero tutti gli uomini e tutte le donne di Fiorenza, con grandissima festa e con la maggior calca del mondo. Laonde, per l’allegrezza che n’ebbero i vicini, chiamarono quel luogo Borgo Allegri, il quale col tempo messo fra le mura della città, sempr’ha tenuto quel nome. Or aveva la natura dotato Cimabue di bello e destro ingegno, di maniera che fu messo per architetto, in compagnia di Arnolfo Tedesco, allora nell’architettura eccellente, della fabrica di Santa Maria del Fiore in Fiorenza, e tanto sotto di lui migliorò la pittura, che nel suo tempo eccellente e mirabile fu chiamata quell’arte, la quale infino a quell’età era stata sepolta. Visse Cimabue anni sessanta, e lasciò molti discepoli di quell’arte, e fra gli altri Giotto di perfettissimo ingegno. Morí nel MCCC, et in Santa Maria del Fiore di Fiorenza gli fu dato sepoltura, et uno de’ Nini gli fece questo epitaffio:

CREDIDIT VT CIMABOS PICTVRAE CASTRA TENERE
SIC TENVIT VIVENS NVNC TENET ASTRA POLI.

Le case sue erano nella via del Cocomero, nelle quali, dopo lui (secondo si dice) abitò Giotto suo discepolo. Dicono che la morte di costui dolse molto ad Arnolfo, il quale, con altri, inanzi fondò la chiesa di Santa Maria del Fiore di Fiorenza, la quale fu una pianta bellissima di quella maniera, e gira in circuito braccia DCCLXXXII e due terzi, e la lunghezza di quella è braccia CCLX, che fu di pietre forti squadrate, di dentro tutta lavorata, e di fuori di marmi bianchi e neri e rossi incrostata et adorna; la qual costa insino al presente due millioni d’oro e piú di 700 000 fiorini. Né in cristianità si truova fabrica moderna piú ornata di quella, sendovi molte statue e nella facciata e nel campanile, fabricate da eccellenti maestri. Arnolfo dunque, rimasto solo, voltò le tre tribune sotto la cupola, oltra quel che s’è detto di sopra, a onor e memoria del quale e della edificazione del tempio, oggi ancora si veggono fra il campanile e la chiesa, su ’l canto, gli infrascritti versi di marmo in lettere tonde intagliate:

ANNIS MILLENIS CENTVM BIS OCTO NOGENIS
VENIT LEGATVS ROMA BONITATE DONATVS
QVI LAPIDEM FIXIT FVNDO SIMVL ET BENEDIXIT
PRESVLE FRANCISCO GESTANTE PONTIFICATVM
ISTVD AB ARNVLFO TEMPLVM FVIT AEDIFICATVM
HOC OPVS INSIGNE DECORANS FLORENTIA DIGNE
REGINAE COELI CONSTRVXIT MENTE FIDELI
QVAM TV VIRGO PIA SEMPER DEFENDE MARIA.

Or, s’alla gloria di Cimabue non avesse contrastato la grandezza di Giotto suo discepolo, sarebbe la fama sua stata maggiore, come ne fa fede Dante Aligheri nella Comedia sua alludendo nello XI canto del Purgatorio a la stessa inscrizzione della sepultura, e dicendo:

Credette Cimabue nella pittura
Tener lo campo, et ora ha Giotto il grido,
Sí che la fama di colui oscura.

Cimabue dunche fra tante tenebre fu prima luce della pittura, e non solo nel lineamento delle figure, ma nel colorito di quelle ancora, mostrando per la novità di tale esercizio sé chiaro e celebratissimo. Costui destò l’animo a i compatrioti suoi di seguirlo in sí difficile e bella scienza, di che lode infinita merita egli per la impossibilità e per la grossezza del secolo in che nacque, e molto piú che s’egli ritrovata l’avesse. E ciò fu cagione che Giotto, suo creato, mosso dalla ambizione della fama et aiutato dal cielo e dalla natura, andò tanto alto col pensiero, ch’aperse la porta della verità a coloro che hanno ridotto tal mestiero a lo stupore et a la maraviglia che veggiamo nel secol nostro. Il qual, avezzo ogni dí a vedere le maraviglie et i miracoli e le impossibilità degli artefici in questa arte, è condotto oggimai a tale che, di cosa fatta da gli uomini, benché piú divina che umana sia, punto non istupisce, e buon per coloro che lodevolmente s’affaticano se, in cambio d’esser lodati et ammirati, non ne riportassero biasimo, et il piú delle volte vergogna.

 

 

 

 


Cimabue, Crocifisso, chiesa di San Domenico Arezzo

Cimabue, The Madonna and Child in Majesty Surrounded by AngelsLa Maestà del Louvre, 1280 circa, 276x424 cm, già a Pisa, oggi al Louvre, Parigi

Santa Trinita Madonna
Nella chiesa di Santa Trinita a Firenze era conservata un'altra Maestà di Cimabue, ora conservata agli Uffizi

 
 

 

 

Il Crocifisso di Arezzo


Cimabue, Crocifisso, chiesa di San Domenico Arezzo

 

 

Il Crocifisso di Santa Croce


Il Crocifisso di Santa Croce, derttaglio

 

 


La Maestà del Louvre



Cimabue, La Maestà del Louvre (detaglio), c. 1280, Musée du Louvre, Paris
 

 

 

Le opere di Assisi


Cimabue, freaco nella Basilica superiore di San Francesco d'Assisi

Lo storico d'arte Vasari fu il primo ad attribuire la decorazione degli affreschi nella basilica di Assisi a Cimabue, con l'eccezone di quelli che riguardano la vita di San Francesco che furono dipinti da Giotto.

 

 
Cimabue, Maestà (Santa Trinita Madonna), 1280-1285, Gallereia degli Uffizi Gallery, Firenze
 

 

 


Gli ultimi anni a Pisa | La Flagellazione della Collezione Frick


Cimabue, , (dettaglio), Collezione Frick di New York
 
 
 

Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, Giorgio Vasari, 1550 | Fonte del testo
Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri. Nell'edizione per i tipi di Lorenzo Torrentino - Firenze 1550
A cura di Luciano Bellosi e Aldo Rossi
Presentazione di Giovanni Previtali
Giulio Einaudi Editore. Torino 1986
Collana: I Millenni
ISBN 88-065-9659-4

Wikisource contiene opere originali di o su Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori


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Case vacanza in Toscana | Podere Santa Pia

     
Podere Santa Pia
 
Podere Santa Pia, giardino
 
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Santa Trinita a Firenze
Piazza della Santissima Annunziata
a Firenze
Pisa
         
Siena, Duomo
Piazza della Santissima Annunziata
a Firenze
Firenze, Duomo
         
Giorgio Vasari (Arezzo, 30 luglio 1511 – Firenze, 27 giugno 1574) è stato un pittore, architetto e storico dell'arte italiano. Fu fortemente influenzato da Michelangelo e da Andrea del Sarto.

La sua formazione artistica fu composita, basata sul primo manierismo, su Michelangelo, su Raffaello e sulla cultura veneta. Come architetto fu la figura chiave delle iniziative promosse da Cosimo I de' Medici, contribuendo, grazie anche alla protezione di Sforza Almeni, a grandi cantieri a Firenze e in Toscana, tra cui spiccano la costruzione degli Uffizi, la ristrutturazione di Palazzo Vecchio e molto altro.
La fama maggiore del Vasari oggi è legata al trattato delle Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri, pubblicato nel 1550 e riedito con aggiunte nel 1568. L'opera, preceduta da un'introduzione di natura tecnica e storico-critica sulle tre arti maggiori (architettura, scultura e pittura) è una vera e propria pietra miliare della storiografia artistica, punto di partenza tutt'oggi imprescindibile per lo studio della vita e delle opere dei più di 160 artisti descritti.

La prima edizione, pubblicata a Firenze dall'editore ducale Lorenzo Torrentino nel 1550 e dedicata al granduca Cosimo I de' Medici, includeva un prezioso trattato sui metodi tecnici impiegati nelle varie arti. Fu in parte riscritto e arricchito nel 1568, con l'aggiunta di xilografie di ritratti degli artisti, taluni ipotetici. La prima edizione si presentava più corposa e più artistica della seconda edizione giuntina. Quest'ultima, con l'aggiunta di integrazioni e di correzioni, risulta più piatta, ma è anche quella che ha riscosso più successo e diffusione, con le sue 18 edizioni italiane ed 8 traduzioni straniere, a fronte di una sola edizione dell'opera originaria.
Un proemio introduce ognuna delle tre parti. Descrive vite ed opere degli artisti da Cimabue in poi, sostenendo che solo gli artisti fiorentini hanno fatto rinascere l'arte dal buio del Medioevo, talvolta esponendo idee per partito preso. Si può comunque dire che Vasari con quest'opera è stato l'iniziatore della critica artistica e molti artisti toscani devono la loro celebrità internazionale all'opera di valorizzazione e divulgazione da lui iniziata, molto prima che si cominciassero a studiare altre scuole, seppur altrettanto importanti (come la scuola romana del Duecento, la pittura dell'Italia settentrionale del Quattro e Cinquecento), ma tutt'oggi sconosciute al pubblico non specializzato.

Come primo storico dell'arte italiana iniziò il genere, tuttora in voga, dell'enciclopedia di biografie artistiche. Vasari coniò il termine "Rinascita", sebbene una consapevolezza del fenomeno artistico che stava avvenendo era già nell'aria sin dai tempi di Leon Battista Alberti.
 

La copertina de "Le Vite"