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Gli affreschi della Cappella Brancacci sono un enigma per gli studiosi nella mancanza di documentazione ufficiale. Commissionati forse a Masolino, che aveva come aiutante il più giovane Masaccio, si sa solo, tramite testimonianze indirette, che dovevano essere iniziati nel 1424 e che nel 1425 vennero portati avanti dal solo Masaccio per la partenza di Masolino per l'Ungheria. Nel 1428 Masaccio partiva per Roma dove sarebbe morto di lì a poco.
La decorazione iniziò dal registro superiore, distrutto nel XVIII secolo, con le vele degli evangelisti, le due lunette (di Masolino) e due semilunette rispettivamente di Masaccio e di Masolino, delle quali sono state ritrovate tracce della sinopia. La decorazione proseguì poi nel registro mediano e poi in quello inferiore, che si sono conservati fino a noi. Nel 1436 con l'espulsione dalla città del committente Felice Brancacci, gli affreschi vennero definitivamente interrotti e in parte mutilati dei ritratti della famiglia Brancacci. Solo una cinquantina d'anni dopo, dal 1480, essi vennero completati da Filippino Lippi, che cercò di adattare la sua arte allo stile del primo Rinascimento.
Gli affreschi vennero ammirati e studiati da generazioni intere di artisti fiorentini. Lo stesso Michelangelo copiò le figure di Adamo ed Eva e del Tributo di Masaccio, e il disegno si è conservato fino a noi (Parigi, Louvre).
Nel 1642 le figure dei progenitori vennero coperte da sovrapinture di foglie di fico. Questa scena, salvata dalla ridipintura barocca della volta, ne uscì annerita dall'incendio del 1771 che distrusse gran parte della basilica. Solo con il restauro del 1983-1990 si è potuta riscoprire la brillante cromia originale e sono state eliminate le ridipinture.
Descrizione
L'affresco della cacciata si trova a sinistra in un riquadro alto e stretto sullo spessore dell'arcone che delimita la cappella, in posizione speculare rispetto a un soggetto simile dipinto da Masolino: il Peccato originale. Le due scene della Genesi aprivano il ciclo pittorico delle Storia di san Pietro e simboleggiavano la dannazione dell'umanità tramite l'errore dei progenitori, che poi veniva redenta tramite l'azione di san Pietro e quindi della Chiesa romana che da lui discese.
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Tentazione di Adamo ed Eva di Masolino, sulla parete opposta
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Adamo ed Eva sono raffigurati nudi, con uno straordinario realismo. In questo caso si intuisce come anche i difetti, per altro minori (come la caviglia di Adamo un po' tozza), non siano dovuti a imperizia, ma a una ricerca di maggiore espressività. I due protagonisti sono rappresentati in espressioni di toccante dolore e condividono la loro colpa senza accusarsi a vicenda.
Vi sono alcuni particolari che differenziano l'affresco dalla scena descritta nella Genesi:
La condizione della nudità di Adamo ed Eva (nella Genesi 3,21 compare infatti «E l'Eterno Iddio fece ad Adamo e alla sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì»).
La presenza di un solo cherubino (Genesi 3,24, «Così egli scacciò l'uomo; e pose ad oriente del giardino d'Eden i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per custodire la via dell'albero della vita.»)
Il particolare dell'arco a sinistra, che rappresenta la porta dell'Eden, non citato dal testo sacro.
Nell'opera di Masaccio, vera e propria frattura rispetto al filone tardogotico del passato, è scomparsa la compostezza di Masolino e i personaggi sono ritratti in una cupa disperazione, appesantiti sotto l'angelo che con la spada sguainata li espelle con volontà perentoria, con un'intensità fino ad allora inedita in pittura.
I gesti sono eloquenti: mentre escono dalla porta del Paradiso, da dove provengono alcuni raggi divini, Adamo si copre il volto con le mani dallo sconforto e dal senso di colpa, ed Eva nasconde le nudità con vergogna e piange urlando, con una dolorosa espressione sul volto. In alto l'angelo della giustizia, con la spada, indica loro con durezza la via. Molti sono i dettagli di grande spessore, dai cappelli madidi e appiccicaticci di Adamo (sulla Terra egli va incontro alla fatica e alla sporcizia), all'impostazione della figura dell'angelo, dipinto in scorcio come se stesse piombando dall'alto.
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Modelli
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Si possono individuare diverse fonti d'ispirazione per la realizzazione dei due personaggi. Considerando Adamo, l'artista può aver preso spunto dalle diverse sculture di Marsia, personaggio della mitologia greca, e al dolente crocifisso di Donatello (1406-1408 circa). Per quanto riguarda Eva, c'è un chiaro riferimento dell'antico (Venere pudica), magari filtrato da Giovanni Pisano (Prudenza nel pulpito del Duomo di Pisa). In ogni caso Masaccio è estraneo a qualsiasi gusto "archeologico", cioè improntato a una fedele quanto sterile copia dall'antico, anzi le sue figure sono impregnate di una profondità ed espressività fino ad allora mai viste, nemmeno nell'arte antica. Gli stessi antichi commentatori parlarono di Masaccio come dell'"ottimo imitatore della Natura", non già come del resuscitatore dell'arte antica.
Stile
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La fortissima plasticità dei corpi, soprattutto quello di Adamo, dà uno spessore mai visto alle figure inserite saldamente sul terreno, su cui si proiettano le ombre della violenta illuminazione che colpisce dall'angolo in alto a destra. Essi sembrano infatti emergere dalla parete inondati dalla luce tagliente che, come realmente avviene dalla finestra della cappella, arriva da destra.
Le loro figure manifestano una conoscenza dell'anatomia approfondita (come nel dettaglio del ventre contratto di Adamo), tradotta però sintetizzando i dettagli. I corpi sono così volutamente massicci, sgraziati, realistici, con alcuni errori (come la caviglia di Adamo) che però non fanno che accrescere l'immediatezza espressiva dell'insieme. Adamo è curvo, con la testa angosciosamente piegata in avanti, incamminandosi nell'arido deserto del mondo. I gesti dei due sono essenziali e contenuti, ma carichi di espressività, dove i riferimenti all'antico e al reale sono intrecciati con una profonda analisi psicologica dell'uomo.
Le differenze di stile tra l'Adamo ed Eva di Masolino e quelli della Cacciata di Masaccio sono dopotutto perfette per rappresentare la differenza della condizione umana prima e dopo il peccato originale. Per questo l'Eden di Masolino è idilliaco, quello di Masaccio spaventosamente perduto. Quasi certamente fu una scelta consapevole dei due pittori quella di dividersi le due scene: tanto fu idealizzata la prima, quanto la seconda realistica. La pittura di Masaccio è comunque sobria e, mentre modella potentemente col chiaroscuro, si serve di una stesura quasi compendiaria, che si limita a descrivere gli elementi essenziali delle figure, tralasciando i dettagli.
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Il restauro
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Nel 1940 si ebbe un restauro conservativo delle pitture, a base di un "beverone" protettivo con uovo e caseina, che ravvivò il colore (curatore F. Fiscali). Nel frattempo la patina di sporco e un velo di nerofumo avevano coperto i colori originari a tal punto che era maturata nella critica una considerazione di Masaccio quale pittore dai colori "petrosi", ma ne veniva comunque apprezzata la ricchezza plastica. L'opera di Masolino e Lippi era invece valutata scarsamente. La lettura critica dei contributi di Masaccio e Masolino fu dominata dalla confusione tra i due fino alla metà del XX secolo.
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La decisione della necessità di procedere a un restauro venne presa già nel 1932, quando Ugo Procacci scoprì sotto due lastre di marmo dell'altare settecentesco alcuni ritagli di affreschi non interessati dall'incendio e dai restauri, che mostravano ancora la brillante cromia ante 1748. L'intervento di restauro vero e proprio prese il via solo negli anni ottanta, preceduto da un capillare check-up sullo stato degli affreschi e dei muri, in modo da distinguere le parti originali da quelle via via più tarde. Il restauro vero e proprio ha avuto luogo tra il 1983 e il 1990, quando venne rivelata, nello stupore internazionale, una cappella "inedita", restituita ai brillanti colori di Masaccio ed ai chiari e soffusi cromatismi di Masolino.
Durante le indagini sono state anche ritrovate le sinopie di due scene sulla parete dietro l'altare accanto alla finestra barocca, che sono riferibili alle scene distrutte del Pentimento di san Pietro, probabilmente di Masaccio, e della Chiamata di san Pietro, attribuibile a Masolino. La mano di Masaccio in una delle semilunette è un indizio fondamentale che prova la presenza dell'artista fin dall'inizio dei lavori. Niente resta invece degli Evangelisti nella volta a crociera né delle due lunette. Dallo smontaggio del tabernacolo marmoreo (oggi ricomposto in un altro ambiente del convento) sono riemersi gli sguanci della bifora originale, dove sono presenti racemi decorativi e due testine (maschile e femminile), i cui colori chiari hanno fatto da termine di paragone per il recupero dei colori durante il restauro. Molto interessante anche il ritrovamento nella parete sotto la finestra di un frammento pittorico attribuito alla Crocifissione di San Pietro, che Masaccio avrebbe dipinto sopra la mensa dell'altare.
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La Cacciata dal Paradiso Terrestre, prima e dopo il restauro |
Retaggio
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L'affresco di Masaccio è tra le più note rappresentazioni universali del paradiso perduto. A questa fece riferimento Jacopo della Quercia nella formella per la Porta Magna di San Petronio a Bologna (1425-1434). Inoltre sia Michelangelo che Raffaello la tennero bene a mente quando dovettero rappresentare questo episodio, rispettivamente nella volta della Cappella Sistina e nelle Stanze Vaticane.
Nonostante questi importanti esempi, la Cacciata di Masaccio non ha affatto perso la sua forza, anzi è unanimemente considerata il capolavoro dell'artista, più ammirato anche del Tributo.
La Cappella Sistina è situata nel palazzo Vaticano e rappresenta uno dei maggiori vanti
dell’arte italiana.
Per quanto riguarda la Genesi, una delle principali scene è sicuramente il Peccato originale e la cacciata dal paradiso. Nel quadro viene rappresentato l'uomo nei due momenti cruciali dell'esistenza: prima del peccato e dopo il peccato.
Nel dipingere la volta, Michelangelo procedette dalle campate vicino alla porta d'ingresso, quella usata durante i solenni ingressi in cappella del pontefice e del suo seguito, fino alla campata sopra l'altare. Il Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre (Genesi 3,1-13.22-24) fa quindi parte del primo blocco.
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Michelangelo Buonarroti, Peccato originale e cacciata dal Paradiso terrestre (dettagio), Cappella Sistina
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Michelangelo Buonarroti, La cacciata dal paradiso terrestre, affresco 280 x 570, Cappella Sistina
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[1] La Cappella Brancacci deve la sua celebrità al ciclo di affreschi condotti in più tempi sulle sue tre pareti da Masolino, Masaccio e Filippino Lippi. Edificata anteriormente al 1386 nel braccio destro del transetto della chiesa, la Cappella Brancacci deve la celebrità al ciclo di affreschi condotti in più tempi sulle sue tre pareti da Masolino, Masaccio e Filippino Lippi.
La decorazione venne commissionata intorno al 1425 da Felice Brancacci, ambasciatore dei fiorentini in Egitto, inizialmente al solo Masolino, al quale in seguito si affiancò il giovane Masaccio che doveva poi condurre per breve tempo il lavoro autonomamente. Rimasti incompiuti forse anche a causa del viaggio a Roma di Masaccio (che vi morì nel 1428), gli affreschi vennero portati a compimento quasi sessant'anni più tardi, tra il 1481 e l'85, da Filippino Lippi.
Nelle scene affrescate, che raffigurano momenti della Vita di S. Pietro e il Peccato Originale, si evidenziano nette differenze fra i tre autori: le delicate ed eleganti figure di Masolino ancora legate alla cultura tardo-gotica contrastano con quelle vigorose di Masaccio, costruite solidamente con l'uso della prospettiva e cariche di un severo realismo tanto da risultare tra i testi basilari della pittura fiorentina del primo Rinascimento (in questo senso appaiono emblematici la Cacciata dal Paradiso e il Pagamento del Tributo, sulla parete di sinistra). Alla gravità delle scene affrescate da Masaccio, appare essersi adeguato con grande sensibilità il più tardo intervento di Filippino Lippi, apprezzabile soprattutto nella parete di destra.
Un restauro recente ha recuperato al meglio la cromia degli affreschi che, fra gli altri danni del tempo, avevano subito anche un generale annerimento dovuto al fumo di un incendio che nel 1771 devastò la chiesa.
[2] La Venere capitolina è una scultura marmorea (h. 193 cm), copia romana di un originale greco del II secolo a.C. conservata nei Musei Capitolini di Roma.
Il tema della venere pudica ebbe particolare sviluppo in epoca ellenistica, con le prove di Doidalsa (Venere accovacciata) e di altri scultori anonimi, quali la Venere Landolina, la Capitolina e la Medici. Amatissimo anche in età romana, il tema venne poi ripreso dagli artisti dal Rinascimento in poi: il più antico tributo è quello nell'Eva di Masaccio nella Cappella Brancacci (1424-1425).
La statua, una Venus pudica, si ispira, come le altre varianti del tema, all'Afrodite cnidia di Prassitele, con particolari similitudini con la Venere Medici che, sebbene riferibile a un periodo più tardo del prototipo capitolino, è un originale greco. Afrodite pudica è un modo di rappresentare la dea, nuda e seminuda, mentre con le braccia si copre il pube e/o il seno.
La figura femminile nuda dell'arte greca fu scolpita da Prassitele ed era la celebre Afrodite cnidia che, prima di immergersi nel bagno rituale, afferrava un panno e con la sinistra accennava a coprirsi le parti intime, colta in un gesto naturale che umanizzava la dea fino ad allora rappresentata in maniera solenne e sacrale.
Del tipo capitolino si conoscono varie copie, tra cui una al Louvre (versione Campana, scoperta ad Anzio), una al British Museum (da Torvaianica) e una all'Hermitage; una testa, dalla collezione Borghese, è pure al Louvre.
L'opera ritrae Venere al bagno, nella posizione pudica. Essa in fatti si piega leggermente su se stessa per coprirsi con le mani e le braccia il pube e i seni. Accanto a sè ha un panno appoggiato su un'alta anfora. L'acconciatura è alquanto particolare, coi capelli annodati sia sulla nuca, sia sulla testa, a mo' di fiocco.
Evidente è la ricerca di una resa naturalistica e idealizzata del corpo femminile nudo, che all'epoca aveva messo in secondo piano i significati sacrali legati alla figura della dea nelle rappresentazioni anteriori.
Bibliografia
John T. Spike, Masaccio, Rizzoli libri illustrati, Milano 2002
Mario Carniani, La Cappella Brancacci a Santa Maria del Carmine, in AA.VV., Cappelle del Rinascimento a Firenze, Editrice Giusti, Firenze 1998.
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 1, Bompiani, Milano 1999.
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999.
Gisela M. A. Richter, L'arte greca, Torino, Einaudi, 1969.
Ranuccio Bianchi Bandinelli; Enrico Paribeni, L'arte dell'antichità classica. Grecia, Torino, UTET Libreria, 1986.
Giuliano A., Storia dell'arte greca, Carocci, Roma 1998
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La Cappella Brancacci
Venere capitolina, Musei capitolini,
Palazzo Nuovo
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Art in Tuscany | Giorgio Vasari's Lives of the Artists | Masaccio, painter of Florence
Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Masaccio | Pittore Fiorentino
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Vacanze in Toscana | Le migliori case vacanza nella Maremma Toscana | Podere Santa Pia
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