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Nel 1447 lavorò nel refettorio di Sant'Apollonia a Firenze, una delle sue opere più significative. Nella parte superiore della parete affrescata dipinse a destra la Deposizione, al centro la Crocifissione e a sinistra la Resurrezione (scene molto rovinate poiché scialbate, ma ancora leggibili); nella parte inferiore l'Ultima Cena: la scena della rivelazione del tradimento si svolge in un ambiente ricco, caratterizzato dalla decorazione a tarsie marmoree e con richiami all'antico, come le due sfingi ai lati della tavolata. In questa scena, scorciata con violenza, le figure, in pose pacate e solenni, si allineano seguendo il ritmo orizzontale e convergono nel gruppo centrale formato dal Cristo, Giovanni e Giuda (seduto, diversamente dalle altre figure, nella parte opposta della tavolata). Sempre per Sant'Apollonia dipinse su una sopraporta l'affresco con Cristo in Pietà sorretto da due angeli (di cui rimane anche la sinopia).[2]
Discussa è la datazione degli affreschi (ora staccati e conservati nel Museo di Castagno), che si presume eseguì tra il 1445 il 1450, comprendenti le scene della Passione, nelle quali si distinguono nella parte superiore: a sinistra la Deposizone, al centro la Crocifissione e a sinistra la Resurrezione (scene molto rovinate, ma ancora leggibili); nella parte inferiore l'Ultima Cena.
Nel Cenacolo, gli sfondi architettonici, che comprendono colonne, scale, finestre, rivelano tutta l'abilità dell'artista nell'applicazione della neonata scienza della prospettiva. La scena della rivelazione del tradimento si svolge in un ambiente interno, ricco, caratterizzato dalla decorazione a tarsie marmoree policrome e con richiami all'antico, vedi le due sfingi ai lati della tavolata, nella scena, scorciata con violenza, le figure, in pose pacate e solenni, si allineano seguendo il ritmo orizzontale della tavolata, e in ordine simmetrico, convergendo nel gruppo centrale formato dal Cristo, con alla sinistra Giovanni e da Giuda, che si trova seduto, diversamente dalle altre figure nella parte opposta della tavolata. In S. Apollonia si trova anche un'altra solenne Crocifissione, in cui la monumentalità masaccesca viene accentuata e le asprezze luministiche si attenuano in una luce diffusa, collegabile a Domenico Veneziano e all'Angelico.
Nei gli stessi anni eseguì anche un affresco nella lunetta del chiostro rappresentante Cristo nel sepolcro tra due angeli (di cui rimane anche la sinopia).
Sant'Apollonia, sala degli affreschi
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Cenacolo di Sant'Apollonia, 1447 con il famoso ciclo degli uomini e donne illustri di Andrea del Castagno, fotografia dagli inizi del XIX secolo
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Il Ciclo degli Uomini e donne illustri è un'opera ad affresco di Andrea del Castagno dipinta per villa Carducci di Legnaia per il gonfaloniere di Giustizia Filippo Carducci tra il 1448 e il 1451, ed è oggi divisa tra la Galleria degli Uffizi (affreschi staccati dei pannelli degli uomini e donne illustri) e la villa stessa.
Il ciclo venne coperto da intonaco bianco in epoca imprecisata e fu riscoperto nel 1847, quando il Granduca acquistò gli affreschi e li fece staccare. Dopo essere stati esposti nel Museo del Bargello dal 1865, i pannelli staccati furono trasferiti nel museo di Andrea del Castagno nel Cenacolo di Sant'Apollonia, dove in seguito all'alluvione di Firenze del 1966 vennero di nuovo rimossi, per approdare agli Uffizi nel 1969, dove vennero collocati nella ex-chiesa di San Pier Scheraggio. La sala della ex-chiesa è per adesso visitabile solo su appuntamento.[1] |
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L'Ultima Cena
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Andrea del Castagno, Cenacolo di Sant'Apollonia, L'Ultima Cena1447, affresco, Sant'Apollonia, Firenze
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L'Ultima Cena è dipinta come se si stesse svolgendo in un piccolo edificio, un triclinium imperiale nello stile rievocato negli scritti di Leon Battista Alberti, con la parete anteriore assente, in modo da permettere allo spettatore la visione dell'interno. L'ambientazione è curata nei minimi dettaglio: dai tegoli del tetto, al soffitto a quadrati bianchi e neri, dal pavimento alle pareti laterali, fino ai due muri in laterizio che chiudono la scena a destra e a sinistra. Tutto è inquadrato in una prospettiva rigorosa, con un forte scorcio laterale, dove tutti gli elementi hanno una precisa collocazione geometrica.
La cena di Gesù con gli apostoli si svolge in una stanza all'antica, decorata con lussuosa e raffinata eleganza: attorno a un lungo tavolo con una tovaglia bianca, che evidenzia lo sviluppo orizzontale della scena, stanno seduti su scranni coperti da un drappo con motivi floreali, gli Apostoli e Gesù, tranne Giuda che si trova sul lato opposto, su uno sgabello. La collocazione di Giuda separato dal resto degli Apostoli è tipica dell'iconografia (anche se di solito si trova a destra, piuttosto che a sinistra di Gesù) e la sua barbuta e di profilo assomiglia a quella di un satiro della mitologia romana, dalla quale i cristiani avevano mutuato molte delle caratteristiche fisiche del diavolo. Anche il san Giovanni dormiente accanto a Cristo è un elemento tradizionale, presente ad esempio, assieme al Giuda di spalle, anche nel Cenacolo di Santa Croce di Taddeo Gaddi, per rimanere in ambito fiorentino. |
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Andrea del Castagno, L'Ultima Cena, dettaglio, 1447, affresco, Sant'Apollonia, Firenze
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Andrea del Castagno, L'Ultima Cena, dettaglio, 1447, affresco, Sant'Apollonia, Firenze
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Le spalliere sono decorate da sfingi e anfore scolpite alle estremità, un evidente richiamo al gusto antico. Alle spalle degli apostoli risaltano una serie di riquadri con finte specchiature in marmi pregiati, che accrescono, con il loro rigore geometrico e coloristico, la staticità e la solennità della scena. Esse sono molto più cupe, e per questo realistiche, delle specchiature marmoree usate in opere coeve di pittori come Filippo Lippi o Beato Angelico. Fa eccezione il pannello più screziato alle spalle del Cristo, che sembra agata e richiama subito l'occhio dello spettatore verso il nodo del dipinto, tra le figure di san Pietro, Giuda e Cristo.
In alto corre un fregio con nastri intrecciati e fiori. La medesima decorazione parietale ricorre anche sui lati, anche se qui il pittore fece un errore: sui lati brevi sta seduto un solo apostolo e la panca sembra essere di poco più lunga della tavola: in realta, a contare i cerchi del fregio o le pieghe del drappo, essa dovrebbe essere lunga esattamente la metà della parete frontale, cioè corrispondere a tre intere specchiature quadrate, mentre ve ne sono disegnate sei.
Sul lato destro si trovano due finestre, che giustificano l'illuminazione da destra, mentre la luce naturale oggi proviene da sinistra. Gli apostoli, allineati attorno alla tavola, sono rialzati di un piccolo gradino sul quale si trovano scritti i loro nomi, tranne Giuda, che non a caso si appoggia al di sotto del gradino. Le figure degli Apostoli sono intensamente caratterizzate con fisionomie realistiche e varie, colti in vari atteggiamenti ed espressioni. Il robusto contorno le fa sbalzare contro il fondo, tramite una cruda illuminazione laterale. Tipici sono il segno grafico netto e i passaggi di colore piuttosto bruschi, che creano risalto espressivo. |
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Andrea del Castagno, L'Ultima Cena, dettaglio, 1447, affresco, Sant'Apollonia, Firenze
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Andrea del Castagno, L'Ultima Cena, dettaglio, 1447, affresco, Sant'Apollonia, Firenze
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Il registro superiore
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Andrea del Castagno, Stories of Christ's Passion, 1447, fresco, Sant'Apollonia, Florence
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Oltre il tetto della scatola prospettica dell'Ultima Cena sono raffigurate, da sinistra verso destra, la Resurrezione, la Crocefissione e la Deposizione nel sepolcro in un unico grande spazio pittorico, intervallato solo da due stipi-finestra, ma con lo stesso punto di fuga. Gli affreschi superiori sono caratterizzati da tonalità più tenui per via dell'ambientazione esterna, con una luce cristallina che evidenzia i corpi e i paesaggi. Questa luce può anche essere letta come un riferimento alla luce divina nell'avverarsi della redenzione, quindi più legate a un messaggio positivo di salvezza.L'ambientazione è stata riconosciuta come un paesaggio di tipo appenninico, simile a quello nei pressi del Monte Falterona di dove era originario Andrea. Grande drammaticità si ritrova in più episodi, che contraddice l'immagine coniata dal Vasari e spesso ripetuta acriticamente che vede Andrea del Castagno come un artista incapace di dipingere sentimenti di tenerezza: bastano episodi come l'abbraccio muto di Giovanni o lo svenimento della Vergine tra le pie donne per contraddire tale ipotesi.
Gli angeli che si disperano volando nella parte più alta fanno da elemento di raccordo tra le tre scene. Le loro espressioni sono tratte dalla tradizione, ma innovativo è il trattamento vaporoso delle loro vesti, anche se congelate dal tratto energico e sostanzioso dell'artista. |
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Il registro superiore, synopia
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Andrea del Castagno, Il registro superiorea (synopia), 1447, fresco in Sant'Apollonia, Florence
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'Per la realizzazione di un affresco, il pittore cominciava stendendo, sulla parete, uno strato d'intonaco ottenuto mescolando con l'acqua calce spenta e sabbia di fiume a grana grossa. Questo primo strato, steso nello spessore di circa un centimetro, si chiama 'arriccio'. La superficie doveva risultare piuttosto ruvida, perché il secondo intonaco potesse avere su di esso una buona adesione. L'artista eseguiva direttamente su questo primo strato il disegno preparatorio. Con un carboncino – facilmente eliminabile – creava lo schema della rappresentazione e, una volta soddisfatto di ciò che aveva eseguito, tracciava con terra d'ocra, accanto al disegno in carbone, un'altra linea. Poi con un mazzo di penne spazzava via il carboncino e ripassava con una terra rossa la figurazione giallo tenue che rimaneva, così come con lo stesso pigmento erano completati i dettagli della rappresentazione (pieghe dei panneggi, volti, chiaroscuri, ecc.). Nacquero in questo modo, nel Trecento e fino a gran parte del Quattrocento, i grandi disegni preparatori, che oggi, dal colore del pigmento rossastro (originario della città di Sinope) con cui furono eseguiti, si usano chiamare sinopie.
Eseguita la sinopia, aveva inizio la pittura vera e propria. Veniva steso sopra l'arriccio un nuovo strato d'intonaco destinato a ricevere il colore, chiamato 'intonachino', la cui superficie doveva in questo caso risultare perfettamente liscia. L'intonachino è un velo trasparente, composto da una parte di calce spenta e due parti di sabbia di fiume macinata fine. Dovendo restare ben umido durante tutto il lavoro di coloritura veniva applicato sull'arriccio solo per quella quantità di superficie che l'artista poteva colorare in una giornata di lavoro. Poi il pittore ripassava a mano libera, con un pennello, il disegno della sinopia che intravedeva attraverso l'intonachino. In ultimo iniziava a dipingere questa porzione con i colori macinati e mescolati con l'acqua. ' [3] |
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Cenacolo di Sant'Apollonia, Resurrezione, 1447
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Andrea del Castagno, Resurrezione, 1447, fresco, Sant'Apollonia, Florence
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Piero della Francesca, Resurrezione, data 1450-1463, affresco, Museo Civico, Sansepolcro |
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Piero della Francesca, Resurrezione.
Nella figura del guardiano dormiente con la testa appoggiata al bordo del sarcofago si è voluto riconoscere tradizionalmente, il ritratto di Piero.
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Nel Museo del Cenacolo di Sant'Apollonia sono conservate anche altre opere quattrocentesche provenienti dall'ex monastero e dall'Ospedale di Santa Maria Nuova, di Paolo Schiavo di Neri di Bicci (due tavole) e le poche tracce degli affreschi e delle sinopie di Domenico Veneziano, con l'aiuto di Alessio Baldovinetti, Piero della Francesca e lo stesso Andrea del Castagno, con le Storie della Vergine, già nella chiesa di Sant'Egidio.
La Resurrezione di Piero della Francesca è un affresco (225 x 200cm), eseguito tra il 1450 e il 1463 per la sua città natale e conservato nel Museo Civico di Sansepolcro.
La scena è ambientata oltre un'immaginaria apertura, incorniciata da due colonne scanalate, un basamento (dove era presente un'iscrizione oggi quasi del tutto cancellata) e un architrave.
Mentre quattro soldati romani dormono, Cristo si leva dal sepolcro ridestandosi alla vita. La sua figura è al vertice di un triangolo immaginario, che va dalla base del sarcofago alla sua aureola, suggerito anche dalle linee di forza delle pose dei soldati. Cristo si erge solenne e ieratico, e la sua figura divide in due parti il paesaggio: quello a sinistra, invernale e morente; quello a destra, estivo e rigoglioso. Si tratta di un richiamo ai cicli vitali, presenti già nella cultura pagana e citati da vari artisti precedenti, come nell'Allegoria ed effetti del buono e del cattivo governo di Ambrogio Lorenzetti.
I Capolavori dell'Arte in Toscana | Piero della Francesca | Resurrezione (1450-1463), Sansepolcro |
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Andrea del Castagno, Resurrezione (dettaglio), 1447, affresco, Sant'Apollonia, Flirenze
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Opere di Andrea del Castagno
* Storie della Vergine (con Domenico Veneziano, Alesso Baldovinetti e Piero della Francesca), 1439 poi 1451-1453, affreschi perduti, già nella chiesa di Sant'Egidio, Firenze. Qualche frammento è esposto nel Cenacolo di Sant'Apollonia, Firenze
* Crocifissione e santi, 1440-1441, affresco staccato, Ospedale di Santa Maria Nuova, Firenze
* Dio Padre, Santi e i quattro Evangelisti, affreschi, chiesa di San Zaccaria, Venezia
* Storie della Vergine, 1442-1443, cartoni per mosaici (con altri artisti), Basilica di San Marco, Venezia
Visitazione
Dormitio Virginis
* Deposizione, 1444, cartone per vetrata, cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze
* Madonna col Bambino e santi, 1444, affresco staccato, Collezione Contini-Bonacossi, Firenze
* Cenacolo di Sant'Apollonia, 1447, affreschi e sinopie, ex-monastero di Sant'Apollonia, Firenze
Ultima Cena
Deposizione
Crocifissione
Resurrezione
* Cristo in pietà sorretto da due angeli, 1447-1448 circa, affresco staccato, ex-monastero di Sant'Apollonia, Firenze
* Ciclo degli uomini e donne illustri, 1448-1451, affreschi staccati, già a villa Carducci di Legnaia, Galleria degli Uffizi, Firenze
* Assunzione della Vergine tra i santi Miniato e Giuliano, 1449-1450, tempera su tavola, Gemäldegalerie di Berlino
* Crocifissione, 1450 circa, tempera su tavola, National Gallery, Londra
* David con la testa di Golia, 1450 circa, tempera su pelle applicata su tavola, National Gallery of Art, Washington
* Ritratto d'uomo, 1450-1457 circa, tempera su tavola, National Gallery of Art, Washington
* Adamo, Eva e Madonna col Bambino, 1450 circa, affreschi, villa Carducci di Legnaia, Firenze
* San Giuliano e il Redentore, affresco, 1451, basilica della Santissima Annunziata, Firenze
* Trinità e santi, 1455, affresco, basilica della Santissima Annunziata, Firenze
* Trinità e santi, 1455, sinopia, ex-monastero di Sant'Apollonia, Firenze
* Crocifissione di Santa Maria degli Angeli, 1455 circa, affresco staccato, ex-monastero di Sant'Apollonia, Firenze
* Monumento equestre di Niccolò da Tolentino, 1456, affresco, cattedrale di Santa Maria del Fiore, Firenze
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[1] Il Ciclo degli uomini e donne illustri è un'opera ad affresco di Andrea del Castagno dipinta per villa Carducci di Legnaia per il gonfaloniere di Giustizia Filippo Carducci tra il 1448 e il 1451, ed è oggi divisa tra la Galleria degli Uffizi (affreschi staccati dei pannelli degli uomini e donne illustri) e la villa stessa.
Filippo Carducci fece decorare a Andrea del Castagno la loggia della villa, che successivamente venne trasformata in salone. Il ciclo è il più antico esempio pervenutoci di celebrazione degli uomini illustri in chiave profana, civile e umanistica, dove veniva sottolineato il valore delle virtù morali degli uomini, che venivano innalzati a una dimensione eroica. Se fino ad allora i personaggi erano spesso tratti dalla Bibbia e dalla mitologia, quindi modelli astratti e fuori dal tempo; nel ciclo di Legnaia, a parte le figure femminili, vennero scelti personaggi del passato prossimo di Firenze, ancora vivi nella memoria. Questa particolare iconografia si ispirò a Boccaccio, ma anche a Plutarco, il cui De virtibus mulieribus era stato tradotto dal latino entro il 1495 da Alamanno Rinuccini, cugino di Andrea Carducci e nipote di Filippo.
Gli affreschi sono descritti nel Memoriale di Francesco Albertini del 1510. Il ciclo venne coperto da intonaco bianco in epoca imprecisata e fu riscoperto nel 1847, quando il Granduca acquistò gli affreschi e li fece staccare. Dopo essere stati esposti nel Museo del Bargello dal 1865, i pannelli staccati furono trasferiti nel museo di Andrea del Castagno nel Cenacolo di Sant'Apollonia, dove in seguito all'alluvione di Firenze del 1966 vennero di nuovo rimossi, per approdare agli Uffizi nel 1969, dove vennero collocati nella ex-chiesa di San Pier Scheraggio. La sala della ex-chiesa è per adesso visitabile solo su appuntamento.
Nel frattempo, nel 1948-1949, alcuni saggi rivelarono la presenza nella villa di altri affreschi, che vennero in seguito rinvenuti: si tratta proprio della Madonna col Bambino con angeli reggicortina e dell'Adamo ed Eva che si trovano in situ.
[2] Il Cenacolo di Sant'Apollonia a Firenze è solo una piccola parte di quello che un tempo era il grande convento di Sant'Apollonia, di regola benedettina, fra i più grandi conventi femminili della città, posto fra le odierne via San Gallo, via XXVII Aprile e via Santa Reparata.
Storia del complesso | Dedicato alla santa martire Apollonia, venne fondato nel 1339 da Piero di Ser Mino, per le monache camaldolesi. Nel 1440 fu unito con un monastero attiguo dipendente dalla Badia di Santa Maria a Mantignano. Nell'occasione la badessa Cecilia Donati chiese l'autorizzazione a Papa Eugenio IV per eseguire lavori di ammodernamento. Vennero allora costruiti il chiostro ed il cenacolo, un'ampia sala rettangolare con soffitto a cassettoni e una serie di finestre sulla parete destra, affrescato su un'intera parete da Andrea del Castagno. A causa della clausura delle monache, il cenacolo fu completamente ignorato dalle fonti antiche e la sua riscoperta si ebbe solo dopo la soppressione del convento. Inizialmente la scena venne riferita a Paolo Uccello, ma Cavalcaselle e Crowe la assegnarono ad Andrea del Castagno, poi sempre confermato come autore. Dopo la scoperta, nel 1891, fu istituito un museo, allora denominato come Museo di Andrea del Castagno.
Il refettorio (Museo del Cenacolo di sant'Apollonia) | La particolarità dello spazioso refettorio sta nel grande affresco di Andrea del Castagno raffigurante l'Ultima cena, un tema molto usato per le sale dove i monaci o le monache consumavano i pasti, dipinto tra il 1445 ed il 1450. Le più recenti analisi della documentazione disponibile (Corti e Hartt) collocano il possibile intervento di Andrea del Castagno tra il giugno e l'autunno del 1447.
L'affresco, che occupa l'intera parete ovest del refettorio, è composto di una parte centrale, dove si trova per tutta la lunghezza della parete l'Ultima Cena e di una parte superiore dove, intervallati da due finestre, si trovano (da sinistra) le scene della Resurrezione, Crocifissione e Deposizione. Questi affreschi al momento del rinvenimento del cenacolo (1861) erano scialbati da un intonaco bianco, per questo sono peggio conservati. Nel 1953 si decise di staccare questa parte superiore perché si stava deteriorando per via dell'umidità, e in quell'occasione furono trovate le significative sinopie, che, pure staccate nel 1961, furono collocate sulla parete opposto.
Nelle sinopie Andrea uso una tecnica mista, sia col disegno che con lo spolvero e apportò numerose variazioni nella stesura definitiva degli affreschi: l'unica scena ad avere tutte le stesse figure nella sinopie e nell'affresco e la Resurrezione.
La parte non museale | La parte restante del complesso oggi appartiene all'Università di Firenze, alla Regione Toscana e all'esercito.
Il grande chiostro della Badessa, a due piani, è tra i più ampi di Firenze e presenta al pian terreno un elegante colonnato quattrocentesco di ordine ionico (su tre lati) e colonnine al piano superiore. Oggi è usato dall'Università (sull'edificio del lato sud si trova la mensa degli studenti) ed è attualmente in restauro (2010). Un secondo chiostro, detto "del Silenzio", è di dimensioni più piccole, mentre un terzo è detto "del Noviziato".
La chiesa del monastero è oggi sconsacrata e viene usata come sala per conferenze: il semplice ma solenne portale, attribuito a Giovanni Antonio Dosio, immette nell'aula, divisa da tre navate, dove sono rimasti alcuni affreschi di Bernardino Poccetti. Il coro sopraelevato è un tipico indizio della presenza in antico delle monache. Lo stesso autore dipinse anche un'Ultima cena nel comunicatoio delle monache.
Fra gli ambienti di particolare pregio esiste anche una sala con pitture risalenti a due periodi diversi del Trecento e composti da più scene, accostate in fantasiose cornici.
[3] Serena Nocentini | The technique of fresco painting | www.brunelleschi.imss.fi.it
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Andrea del Castagno, Philippus Hispanus Descolaris, Ciclo degli uomini e donne illustri, da Villa Carducci.
Cristo in pietà sorretto da due angeli, 1447-1448 circa, affresco staccato e sinopia, ex-monastero di Sant'Apollonia, Firenze
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Art in Tuscany | Italian Renaissance painting
Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Andrea da 'l Castagno di Mugello Art in Tuscany | Giorgio Vasari | Lives of the Most Excellent Painters, Sculptors, and Architects | Andrea del Castagno
Bibliografia
Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999.
Stefano Zuffi, Il Quattrocento, Electa, Milano 2004.
R. C. Proto Pisani, Il Cenacolo di Sant'Apollonia, Sillabe, Livorno 2002.
C. Acidini Luchinat e R. C. Proto Pisani (a cura di), La tradizione fiorentina dei Cenacoli, Scala, Calenzano 1997, pp. 128-134.
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La realizzazione di un affresco
L'affresco
'La tecnica del dipingere in affresco, come indica la parola stessa, consiste nello stendere i colori sull'intonaco ancora umido, ossia appunto "a fresco".
Nella costruzione del muro destinato ad ospitare la pittura si prediligeva l'uso di un unico materiale, generalmente pietra o mattone, per evitare che i diversi movimenti di assestamento provocassero danni. L'artista cominciava stendendo sulla parete uno strato d'intonaco ottenuto mescolando, con l'acqua, calce spenta e sabbia di fiume a grana grossa.
Questo primo strato, detto arriccio, era steso nello spessore di un centimetro e la sua superficie doveva risultare piuttosto ruvida per permettere al secondo intonaco di aderire più facilmente.
Sopra l'arriccio si eseguiva il disegno con il carboncino, che veniva spazzato via con delle piume dopo aver aggiunto lungo i suoi contorni una seconda linea in ocra. Si ripassava poi quest'ultima con il rosso sinopia, pigmento colorato il cui nome finì per indicare i disegni preparatori con esso eseguiti.
Infine si applicava l'intonachino, o velo, uno strato di intonaco trasparente più raffinato dell'arriccio, costituito in genere da una parte di calce spenta e due parti di sabbia macinata fine. Questo doveva avere una superficie perfettamente liscia e restare ben umido per tutto il corso del lavoro di coloritura, per cui veniva steso solo per quella quantità di superficie che l'artista dipingeva in una giornata di lavoro. Per questo motivo, ognuna di queste parti prende il nome di "giornata".
Dopo aver riportato sull'intonachino fresco il disegno della porzione di sinopia che traspariva da sotto, il pittore iniziava a dipingere con colori macinati e mescolati con acqua. In genere nei volti si iniziava dai toni chiari per arrivare a quelli scuri; viceversa nelle vesti si cominciava a dipingere dalle tonalità scure per poi degradare verso quelle più chiare.
Non tutti i colori potevano essere utilizzati. Infatti, quando l' intonaco si asciuga, la calce in esso contenuta determina una reazione chimica, la carbonatazione, che, per il calore sprigionato, può bruciare i pigmenti di origine vegetale. Spesso erano quindi necessari alcuni ritocchi a secco per piccoli perfezionamenti. A secco dovevano, inoltre, essere dipinti gli azzurri, sia il costosissimo lapislazzuli, o oltremarino, sia l'azzurro di Alemagna, o azzurrite.
Già dalla metà del Quattrocento al posto della sinopia venne introdotto l'uso del cartone preparatorio. I disegni si facevano in bottega, su carta quadrettata, in piccole dimensioni.
Poi su un foglio di dimensione uguale a quello dell'affresco si tracciava una quadrettatura del medesimo numero di quadrati ma di proporzioni maggiori; quindi si riportavano, ingrandendole, le linee del disegno piccolo.
Il disegno grande veniva forato con un grosso ago per passarvi sopra un sacchetto di tela rada con polvere di carbone.
Con questa tecnica, definita spolvero, si formava una serie ininterrotta di puntini che l'artista congiungeva tra loro creando il disegno.
Sempre durante il Rinascimento si sviluppò, infine, un terzo metodo: il disegno, ingrandito con la quadrettatura, veniva tracciato su cartone leggero il quale, steso sull'intonaco fresco, veniva calcato con un chiodo lungo le linee in modo da incidere e trasferire la composizione sulla malta.'
Serena Nocentini | La realizzazione di un affresco | La sinopia e l'affresco | www.brunelleschi.imss.fi.it | Watch the movie
Lo strappo
'Nel corso del Settecento furono messe a punto nuove tecniche per il recupero e la conservazione delle opere antiche, tra cui il metodo del distacco per le pitture murali.
Il distacco consiste nella separazione della pellicola pittorica dal suo supporto naturale, generalmente pietre o mattoni, e si distingue in base alla tecnica di asportazione usata.
Il metodo più antico, detto "a massello", prevede il taglio del muro e la conseguente asportazione, assieme alla pellicola pittorica, dell'intonaco di preparazione e di buona parte della muratura.
Lo "stacco" implica, invece, l'asportazione, insieme al colore, del solo intonaco di preparazione, l'arriccio.
Infine lo "strappo", senza dubbio la tecnica meno invasiva, agisce esclusivamente sul velo d'intonaco dove sono assorbiti i colori, senza toccare l'arriccio.
In quest'ultimo metodo, sulla superficie dipinta si applica, a scopo protettivo, un intelaggio composto da tele di cotone e colla animale, sul quale poi si incolla una tela più robusta di dimensioni maggiori rispetto al dipinto. Sulla parete si esegue un'incisione profonda lungo i margini della pittura.
Si batte ripetutamente il dipinto per distaccarlo dal muro adoperando un mazzuolo in gomma, proseguendo poi, con l'ausilio di un ferro da stacco - una sorta di punteruolo - a strappare, partendo dal basso, la pellicola pittorica e l'intonachino attaccati all'intelaggio di cotone e colla.
Il retro dell'affresco viene assottigliato per rimuovere le eccedenze di calce e ricostituito con un intelaggio definitivo: si incollano due sottili tele di cotone, dette "velatini" e una tela più robusta con uno strato di colla. Si passano poi due strati di malta, la prima più granulosa e la seconda più liscia e compatta.
Le malte costituiranno il primo strato vero e proprio del nuovo supporto. I velatini e la tela serviranno solo ad agevolare un futuro nuovo distacco: per questo motivo prendono il nome di "strato di sacrificio".
Una volta asciutta la malta si stende uno strato di adesivo e si fa aderire l'affresco ad un supporto rigido in materiale sintetico, con il quale si possono ricostruire le architetture che lo ospitavano.
Dopo il completo essiccamento del retrointelaggio definitivo, con l'ausilio di un vaporizzatore ad acqua calda e alcool etilico decolorato, si rimuovono le tele utilizzate per proteggere la pittura durante la fase dello strappo.'
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