Quanto sia biasimevole in una persona eccellente il vizio della invidia, che in nessuno doverrebbe alloggiarsi mai, et inoltre quanto scelerata et orribil cosa il cercare sotto spezie d’una simulata amicizia, spegnere in altri, non solamente la fama e la gloria, ma la vita stessa. Non credo io certamente che ben sia possibile esprimersi con le parole, vincendo la sceleratezza del fatto ogni virtú e forza di lingua, ancora che eloquente. Per il che, senza altrimenti distendermi in questo discorso, dirò solo che ne’ sí fatti alberga spirito, non dirò inumano e fero, ma crudele in tutto e diabolico; tanto lontano da ogni virtú, che non solamente non sono piú uomini, ma né animali ancora generosi o degni di vivere. Con ciò sia che quanto la emulazione e la concorrenzia, che virtuosamente operando cerca vincere e soverchiare i da piú di sé, per acquistarsi gloria et onore, è cosa lodevole e da essere tenuta in pregio come necessaria ed utile al mondo; tanto per lo opposito, e molto piú, merita biasimo e vituperio la sceleratissima invidia, che non sopportando onore o pregio in altrui si dispone a privar di vita chi ella non può spoliare de la gloria, come fece lo sciaurato Andrea de ’l Castagno, la pittura e disegno del quale fu per il vero eccellente e grande, ma molto maggiore il rancore e la invidia che e’ portava a gli altri pittori: di maniera che con le tenebre del peccato sotterrò e nascose in tutto ogni splendor della sua virtú. Costui, per esser nato in una piccola villetta non molto lungi a la Scarperia di Mugello, contado di Firenze, comunemente detta il Castagno, se la prese per suo cognome quando venne a stare in Fiorenza; il che successe in questa maniera; essendo egli nella prima sua fanciullezza rimaso senza padre, fu raccolto da un suo zio che lo tenne molti anni a guardare gli armenti, per vederlo pronto e svegliato e tanto terribile, che e’ sapeva far riguardare non solamente le sue bestiuole, ma le pasture et ogni altra cosa che attenesse al suo interesse. Continovando adunque in tale esercizio, advenne che fuggendo un giorno la pioggia, si abbatté a caso in un luogo, dove uno di questi dipintori di contado che lavorano a poco pregio, dipigneva un tabernacolo d’un contadino, non però di molto momento. Andrea, che mai piú non aveva veduta una simil cosa, assalito da una subita maraviglia, cominciò attentissimamente a guardare e considerare la maniera di tale lavoro. E gli venne subito un desiderio grandissimo et una voglia sí spasimata et avida di quella arte, che senza mettere piú tempo in mezzo, cominciò per le mura e su per le pietre co’ carboni o con la punta del coltello, a sgraffiare et a disegnare animali e figure, sí fattamente che e’ moveva gran maraviglia in chi le vedeva. Cominciò dunque a correr la fama tra’ contadini di questo nuovo studio di Andrea, e pervenendo (come volse la sua ventura) questa cosa a gli orecchi d’un gentiluomo fiorentino, chiamato Bernardetto de’ Medici, che vi aveva sue possessioni, volle conoscere questo fanciullo; e vedutolo finalmente et uditolo ragionare con molta prontezza, lo dimandò se egli farebbe volentieri l’arte del dipintore. E rispondendoli Andrea che e’ non potrebbe avvenirli cosa piú grata, né che quanto questa mai gli piacesse, a cagione che e’ venisse perfetto in quella, ne lo menò con seco a Fiorenza, e con uno di que’ maestri che erano allora tenuti migliori, lo acconciò a lavorare. Per il che seguendo Andrea l’arte della pittura, et a gli studii di quella datosi tutto, mostrò grandissima intelligenzia nelle difficultà della arte, e massimamente nel disegno. Non fece già cosí poi nel colorire le sue opere, le quali faccendo alquanto crudette et aspre, diminuí gran parte della bontà e grazia di quelle, e massimamente una certa vaghezza che nel suo colorito non si ritruova. Era gagliardissimo nelle movenzie delle figure e terribile nelle teste de’ maschi e delle femmine, faccendo gravi gli aspetti loro, con buon disegno. Le opere di mano sua furono da lui dipinte, nel principio della sua giovanezza, nel chiostro di San Miniato al Monte, quando si scende di chiesa per andare in convento, di colori a fresco, una storia di San Miniato e San Cresci, quando da ’l padre e da la madre si partono. Erano in San Benedetto, fuor della porta a’ Pinti, opere di man sua in un chiostro et in chiesa; e negli Agnoli di Fiorenza è ancora un Crocifisso nel chiostro, dirimpetto alla porta che s’entra prima. Dipinse a Legnaia in casa di Pandolfo Pandolfini in una sala molti uomini illustri ritratti di naturale. Et alla compagnia delo Evangelista un segno da portare in processione tenuto bellissimo; e nel convento de’ Servi in detta città lavorò in fresco tre nicchie piane in certe cappelle: l’una è quella di San Giuliano con storie sue, che oltra la figura v’è un cane in iscorto che fu lodato molto, e similmente sopra questa cappella lavorò quella di San Girolamo, nella quale dipinse un San Girolamo secco e raso molto con disegno e fatica da lui condotto, e sopra vi fece una Trinità che ha un Crocifisso che scorta; del quale, nel vero, molte lodi per tal cosa merita Andrea, per avere egli dato forma e disegno a gli scorti migliore e con maniera piú moderna che gli altri inanzi a lui non avevano fatto. Similmente l’altra cappella sotto quella dell’organo, la quale fece fare Messer Orlando de’ Medici, dentrovi Lazaro, Marta e Maddalena, da lui medesimo lavorata; et alle monache di San Giuliano un Crocifisso a fresco sopra la porta con San Domenico, San Giuliano e Nostra Donna e San Giovanni in fresco, da lui con piú amore e studio condotti a fine; il quale fu tenuto per una delle sue pitture la migliore che facesse già mai, da tutti i pittori universalmente lodata. Lavorò ancora in Santa Croce alla cappella de’ Cavalcanti un San Francesco e San Giovanni Batista, bonissime figure. Ma molto piú fece stupire e maravigliare gli artefici nel chiostro nuovo di detto convento: nella testa del quale, dirimpetto alla porta, in una storia a fresco dipinse Cristo alla colonna battuto, dove tirò una loggia con colonne in prospettiva, con crociere di volte a liste diminuite, e le pareti commesse a mandorle, dove non manco mostrò d’intendere la difficultà della prospettiva, che si facesse il disegno dell’arte nella pittura; nella quale opra Andrea fece attitudini sforzatissime di coloro che flagellano Cristo, dimostrando non meno la rabbia e l’odio in coloro, che la mansuetudine e la pazienzia in esso Iesú Cristo. Nel corpo del quale, arrandellato e stretto con funi alla colonna, pare che Andrea tentasse voler mostrare il patire della carne, e che la divinità nascosa in quel corpo arrechi in sé un certo splendore di nobilità. Per il quale commosso, Pilato che siede tra’ suoi consiglieri, pare che cerchi di trovar modo da liberarlo. Et è sí fatta questa pittura, che se ella non fusse stata graffiata e guasta dalla ignoranza di chi ha voluto vendicarsi contra i Giudei, ella sarebbe certo bellissima tra tutte le cose di Andrea. Al quale, se la natura avesse dato gentilezza nel colorire, come ella gli dette invenzione e disegno e sapere esprimere gli affetti, e’ sarebbe veramente stato tenuto e perfetto e maraviglioso. Dipinse in Santa Maria del Fiore l’imagine di Niccolò da Tolentino a cavallo; dove lavorando, avvenne che un fanciullo dimenò la scala, perché egli in colera salito, gli corse dietro fino al canto de’ Pazzi. Fece ancora in Santa Maria Nova nel cimiterio infra l’ossa un Santo Andrea, che fu cagione che et il refettorio dove i servigiali mangiano e gli altri dello spedale, la Cena di Cristo con gli Apostoli vi dipignesse. Per il che acquistato grazia con la casa de’ Portinari, fu messo alla cappella dello altar maggiore di San Gilio in detta chiesa, nella quale lavorò una parete, e dell’altre, una ne fu data ad Alesso Baldovinetti e l’altra al molto allora celebrato pittore Domenico da Vinegia. Perché i Portinari l’avevano fatto venire da Vinegia, percioché di quel luogo il colorire a olio portato aveva, onde di tal cosa grandissima invidia gli ebbe Andrea, e benché si conoscesse essere piú eccellente di lui, per questo non restò che non lo invidiasse; perché vedendolo Andrea come foristiero da’ suoi cittadini con molte carezze tratenuto, fu cagione che invelenito pensò di torselo dinanzi col perseguitarlo con fraude. Era Andrea persona allegrissima e simulatore non manco valente che pittore, se bene nessuno nol conosceva, e molto nella lingua spedito e d’animo fiero, et in ogni azzione del corpo come della mente risoluto. Usò ad alcuni artefici, nell’opre che fecero, segnare col graffio dell’ugna gli errori che in quelle conosceva; et ancora a quegli che nella sua giovanezza lo avevano morso nelle prime opre che fuora aveva messo, per istizza dar delle pugna loro, et a buona occasione di altrui che l’offendeva, vendicarsi. Avenne che di quei primi dí che Domenico da Vinegia, il quale nella sagrestia di Santa Maria de•lLoreto aveva dipinto in compagnia di Piero della Francesca, giunse in Fiorenza, fece sul canto de’ Carnesecchi nell’angolo delle due vie che vanno a Santa Maria Novella un tabernacolo a fresco con una Nostra Donna et alcuni santi da lato; onde molto da cittadini et artefici in quel tempo fu lodato. Per il che crebbe ad Andrea la invidia e lo sdegno contra di lui assai maggiore che prima non aveva. Laonde fatto pratica piú si domesticò con Maestro Domenico, il quale perché buona persona et amorevole era, assai alla musica attendeva, e dilettandosi sonare il liuto, andava la notte cantando et alcune serenate faccendo a sue innamorate; et Andrea spesso in compagnia di lui andava, monstrando non avere piú grato né piú domestico amico, onde gli fu insegnato da Domenico l’ordine e ’l modo del colorire a olio, il quale in Toscana non era ancora in uso. Aveva Andrea finito a fresco nella cappella una storia della Nostra Donna quando è dallo Angelo annunziata, che è tenuta cosa bellissima per avervi egli dipinto lo angelo in aria, cosa non usata sino a quel tempo. Ma molto piú bella ancora fu tenuta una altra istoria d’una Nostra Donna pure quando ella sale i gradi del tempio, in su i quali figurò molti poveri, e fra gli altri uno che con un boccale dà in su la testa ad un altro; cosa molto bene finita da lui per lo sprone della concorrenzia di Maestro Domenico, con industria, arte et amore. Dall’altra parte aveva Maestro Domenico fatto ad olio nell’altra parete di detta cappella la Natività e lo Sposalizio di detta Vergine, et Andrea aveva cominciato a olio l’ultima storia della morte di Nostra Donna; nella quale per la concorrenzia di Maestro Domenico, spronato dal desiderio di esser tenuto quello che egli era veramente, fece in iscorto un cataletto dentrovi la morta, la quale non è un braccio e mezzo di lunghezza, e pare lunga tre. Intorno a questa figurò gli Apostoli in una maniera, che se bene si conosce ne’ visi loro la allegrezza del vederne portare quella anima in cielo da Iesú Cristo, e’ vi si conosce ancora il dolore e l’amaritudine del rimanere in terra senza essa. Tra gli Apostoli mescolò molti angeli che tengono lumi accesi, con belle arie di teste e sí bene condotte, che e’ mostrò certamente di saper maneggiare i colori a olio sí bene quanto Maestro Domenico suo concorrente. Tuttavolta, avendo già condotto questa opera a bonissimo termine, accecato dall’invidia per le lodi che alla virtú di Domenico udiva dare, volendo al tutto levarselo dattorno, imaginossi varie vie da farlo morire, e fra l’altre una ne mise in essecuzione in questa guisa. Una sera di state, come altre volte era solito, Maestro Domenico tolse il liuto, e di Santa Maria Nuova partitosi, lasciò Andrea il quale nella camera sua disegnava, e l’invito che Domenico gli aveva fatto di menarlo a spasso per la terra accettar non volse, mostrando che allora avesse fretta di disegnare alcune cose importanti. Per il che Domenico subito partito, et a’ suoi piaceri usati per la città caminando, Andrea sconosciuto nel suo ritorno si mise ad aspettarlo dietro a un canto, e con certi piombi il liuto e lo stomaco a un tempo gli sfondò, e con essi anco di mala maniera su la testa il percosse, e non finito di morire, fuggendosi in terra lo lasciò; et a Santa Maria Nuova alla sua stanza tornato, si rimise con l’uscio socchiuso intorno al disegno che avea lasciato. Perché sentito in poco spazio di tempo il romore del morto portatosi, gli fu da alcuni servigiali di quel luogo percossa la porta della camera e datogli la nuova del quasi morto amico. Laonde corso a ’l rumore con spavento terribile gridando tuttavia: "Fratel mio", e piantolo assai, poco andò che Domenico gli spirò nelle braccia. Né mai per alcun tempo si seppe chi morto l’avesse; e se Andrea, venendo a morte, in confessione non lo manifestava, nulla se ne saprebbe ancora. Finí l’opera sua, e quella del morto amico rimase imperfetta, la quale da gli artefici comunemente e da tutti i cittadini fu lodata.
Dipinse Andrea in S. Miniato fra le torri di Fiorenza una tavola, nella quale è una Assunzione di Nostra Donna con due figure, et alla Nave a l’Anchetta fuor della porta alla Giustizia un tabernacolo d’una Nostra Donna. E Domenico in Perugia fece altresí una camera per li Baglioni, tenuta vaghissima; et ancora in molti altri luoghi alcune opre bellissime. Egli era ottimo prospettivo, et in molte cose dell’arte molto valse. Gli diedero sepoltura in Santa Maria Nuova nell’età degli anni suoi LVI. Et Andrea seguitò per Fiorenza l’altre sue opere. Lavorò in casa i Carducci in Fiorenza, oggi de’ Pandolfini, alcuni uomini famosi, parte ritratti di naturale e parte da lui investigando l’effigie. Tra i quali sono Philippo Spano de gli Scolari, Dante, Petrarca, il Boccaccio et altri cavalieri fra un buon numero di litterati, i quali sono stati lavorati da lui con molto amore. Alla Scarperia, che è castello in Mugello, passo per Bologna, sopra la porta del palazzo del vicario è una Carità ignuda molto bella; et in Fiorenza, per la ribellione d’alcuni cittadini, nella faccia del Palazzo del Podestà furono da lui dipinti quegli e per un piede impiccati, con tanto disegno, che acquistò piú nome che prima non aveva fatto; e da questi, perché ella era pittura famosa e publica fu chiamato Andrea de gli Impiccati. Visse nel suo tempo molto onoratamente, e perché era persona splendida e dilettavasi molto di vestire e di stare in casa pulitamente, lasciò poche facultà alla morte sua, la quale gli troncò la vita nella età d’anni LXXI. E risapendosi dopo la morte sua l’impietà che egli aveva usata a maestro Domenico, con odiose esequie fu sepolto in Santa Maria Nuova e fugli fatto questo epitaffio:
CASTANEO ANDREAE MENSVRA INCOGNITA NVLLA
ATQVE COLOR NVLLVS LINEA NVLLA FVIT
INVIDIA EXARSIT FVITQVE PROCLIVIS AD IRAM
DOMITIVM HINC VENETVM SVBSTVLIT INSIDIIS
DOMITIVM ILLVSTREM PICTVRA TVRPAT ACVTVM
SIC SAEPE INGENIVM VIS INIMICA MALI.
Lasciò suoi discepoli Iacop del Corso che fu ragionevole maestro, il Pisanello che finí le sue cose, il Marchino e Giovanni da Rovezzano, l’anno MCCCCLXXVIII.
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