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Masaccio, Trinità, (dettaglio) 1425-28, 1425-27, affresco, Basilica di Santa Maria Novella, Firenze

 
« Quello che vi è bellissimo, oltre alle figure, è una volta a mezza botte tirata in prospettiva,
e spartita in quadri pieni di rosoni che diminuiscono e scortano così bene che pare che sia bucato quel muro. »
(Giorgio Vasari, Vite de' più eccellenti pittori, scultori e architettori, 1568)
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Masaccio | Trinità, Santa Maria Novella, Firenze

   
   

La Trinità è un affresco di Masaccio, conservato nella terza campata della navata sinistra della basilica di Santa Maria Novella a Firenze e databile al 1426-1428. Misura 317x667 cm ed è universalmente ritenuta una delle opere fondamentali per la nascita del Rinascimento nella storia dell'arte. Si tratta dell'ultima opera conosciuta dell'artista, prima della morte avvenuta a soli 27 anni.


Storia

Nessun documento scritto attesta la data esatta di esecuzione del dipinto e l'identità del committente, nonostante sia raffigurato, con la moglie, ai piedi del dipinto; a proposito di quest'ultimo è stata formulata l'ipotesi che si tratti di un priore domenicano presente in quegli anni nel convento, Fra' Benedetto di Domenico di Lanzo, e che l'opera sia stata eseguita in onoranza di un suo congiunto defunto in quegli anni, fatto ritrarre nell'affresco assieme a sua moglie. L'affresco si trova in posizione asimmetrica nella campata, esattamente davanti alla porta che conduceva al cimitero della basilica[1]. Il dogma della Trinità era dopotutto un tema di importanza fondamentale per i domenicani, proprietari della chiesa, come testimonia la posizione di rilievo dell'affresco all'interno della navata[2]. Alla complessa creazione tematica del dipinto dovette sicuramente partecipare un teologo del convento, che Berti (1988) ha ipotizzato potesse essere Fra' Alessio Strozzi, religioso, umanista e matematico che frequentava artisti come Lorenzo Ghiberti e Filippo Brunelleschi[3].

La progettazione dell'opera dovette richiedere parecchi mesi, con un preciso calcolo delle proporzioni che necessita la parziale chiusura della finestra sulla parete per guadagnare altezza[4].

Lo stato di conservazione dell'opera mostra ampiamente i segni dell'usura derivanti dal tempo e, ancor più, dalle varie e curiose vicissitudini seguite nel corso della storia. L'opera infatti si è fortunatamente conservata sino a noi grazie al genio di Giorgio Vasari. Egli, incaricato di smontare il tramezzo dove l'opera era collocata (per ragioni legate alla Controriforma), non trovando altro luogo dove conservarla all'interno della chiesa (poiché ne riconosceva l'immenso valore storico artistico), decise di ricollocarla dietro ad un nuovo altare e applicarvi una serie di accorgimenti in modo tale che l’opera di Masaccio non subisse nel frattempo ulteriori danni. In questo modo quest'opera si è preservata quasi intatta. L'altare soprastante era sormontato da una grande pala dedicata alla Vergine del Rosario realizzato, per la famiglia Capponi dallo stesso Vasari.

Solo nel 1860 l'affresco della Trinità fu "riscoperto", trasportato su tela ed incollato sulla controfacciata della chiesa. Nel 1952, quando fu rimosso l'altare che nascondeva lo scheletro ed il sarcofago, si decise di risistemare l'affresco nella sua collocazione originale. Un ulteriore restauro eseguito tra il 1999 ed il 2001 ha consentito un importante, anche se parziale, recupero delle tonalità originali dell'affresco.


Descrizione

Ernst Gombrich esprime nei seguenti termini il carattere innovativo del dipinto:

« Possiamo immaginare lo stupore dei fiorentini quando, rimosso il velo, apparve questa pittura che pareva aver scavato un buco nel muro per mostrare al di là una nuova cappella sepolcrale, costruita secondo il moderno stile di Brunelleschi. [...] Se i fiorentini si erano aspettati un'opera arieggiante il gotico internazionale allora di moda a Firenze come nel resto d'Europa, dovettero rimanere delusi. Non grazia delicata, ma figure massicce e pesanti; non curve libere e fluenti, ma forme angolose e solide... »
( E. H. Gombrich, La storia dell'arte, Leonardo Arte, ristampa 1997, pag. 229)[2]


l Trono di Grazia

   

Il soggetto principale raffigurato è costituito dalle figure della Trinità, disposte secondo il modello iconografico che va sotto il nome di "Trono di Grazia", con il Padre che regge la croce del Figlio, che si diffuse nella pittura fiorentina alla fine del XIV secolo. La fonte testuale di tale soggetto è contenuta in Isaia (16, 5), ripresa da una lettera di San Paolo ai Giudei (4, 16)[1]. Ma l'opera di Masaccio fu la prima rappresentazione di tale iconografia su scala monumentale e la prima ad essere trattata con tanto realismo e con uno sfondo architettonico illusionistico[2]. Masaccio vi fuse inoltre motivi iconografici derivati da altre rappresentazione, come i due "dolenti del Calvario" (Maria e san Giovanni, di solito ai piedi delle crocifissioni) o il sepolcro.

Di solito nel "Trono di Grazia" Dio era seduto in trono, per evocare il tema del Giudizio che segue la Resurrezione; in questo caso invece Dio Padre è raffigurato in piedi. Goffen (1980) ha suggerito che la posizione evocasse nello spettatore quella del sacerdote quando durante la messa solleva l'Eucarestia, quale simbolo del sacrificio.

La figura del Padre, pur sembrando gigantesca per un effetto illusorio, non ha tuttavia una statura superiore a quella del Figlio, ma uguale. Il confronto con le precedenti raffigurazioni del Trono di Grazia palesa dunque una attenzione alle proporzioni ed alle armonie tipica della nascente cultura rinascimentale.


La struttura architettonica

Nelle precedenti rappresentazioni della Trinità lo sfondo era sempre o fatto d'oro oppure di cielo. Per la prima volta il tutto venne collocato in una grandiosa architettura dipinta, che è quindi uno spazio terreno, frutto dell'attività umana. La potenza illusionistica della volta a botte nello sfondo, fortemente scorciata, impressionò i contemporanei, che non avevano mai visto niente di simile. Ponendosi infatti a circa quattro metri di distanza, si ha l'illusione di una cappella che si apre nella navata. Più di un secolo dopo Vasari scriveva ancora "pare che sia bucato quel muro".

La facciata della cappella appare delimitata da due lesene con capitelli corinzi che reggono una trabeazione sotto alla quale sono presenti due medaglioni ornamentali; si tratta di elementi posti in rilievo rispetto alle due colonne ioniche ed all'arco trionfale che dà accesso alla cappella. La raffigurazione dell'architettura ubbidisce alle leggi della prospettiva, sapientemente utilizzate per creare, attraverso la raffigurazione della volta a botte e delle altre due colonne sul fondo della cappella, l'effetto illusionistico della profondità. La volta a lacunari è decorata con rosoni (ormai poco visibili) dipinti alternativamente nelle tonalità del rosso e del blu. Sulle pareti laterali è appena percettibile la presenza di architravi sorretti da colonne doriche.

Tutto l'ambiente è di misurate proporzioni ed il modulo è offerto dal Crocifisso, centro dell'intera raffigurazione. Alcuni studiosi si sono spinti fino a disegnare in pianta e in alzato la struttura della cappella, anche se non è possibile ottenere con esattezza le misure e la forma dell'architettura immaginaria[5].

Se Masaccio dimostrò di aver assimilato a fondo la lezione di Brunelleschi riguardo alla spazialità prospettica, diversa è la poetica con cui il pittore usò nell'insieme. Il realismo spaziale di Masaccio non solo voleva ordinare le figure nello spazio, ma era finalizzato a effetti illusionistici che potenziassero a dismisura il messaggio religioso dell'opera. Scegliendo un punto di fuga molto basso, proprio all'altezza degli occhi dello spettatore, lo spazio rappresentato venne legato indissolubilmente a quello reale e lo spettatore vi è espressamente coinvolto, come sembra suggerire anche lo sguardo e il gesto di Maria[6].

La suggestione dello sfondo architettonico ha portato taluni studiosi ad ipotizzare l'intervento dello stesso Brunelleschi nella realizzazione del dipinto (vedi paragrafo sottostante).


I personaggi divini

In questa cornice architettonica sono collocati, secondo una struttura piramidale, le sei figure che popolano la scena in atteggiamento statuario.

Sulla parete di fondo è collocata una piattaforma orizzontale sulla quale si erge in piedi la figura di Dio Padre. Indossa una tunica rossa ed un mantello blu, ha la sembianza di un uomo maturo ed un'espressione ieratica; le braccia sono leggermente aperte per reggere il braccio orizzontale della croce. L'aureola che ne incornicia il capo tocca la volta della cappella facendo apparire gigantesca la sua figura. In realtà la sua statura è strettamente proporzionata con quella del Figlio in croce la cui figura risalta nell'affresco per il pallore delle sue carni. La posizione arcuata delle gambe inchiodate sulla croce e il panno bianco che sembra scivolare lungo i fianchi, mostrano marcate somiglianze con la Crocifissione di Masaccio conservata a Napoli.

Padre e Figlio sono gli unici personaggi dell'opera a essere sottratti alle regole prospettiche, venendo implicitamente dichiarati come entità immutabili che non sottostanno alle leggi fisiche del mondo umano. L'effetto derivante è quello della percezione di un'inclinazione che le rende quasi precipitanti sullo spettatore[5].

La raffigurazione della Trinità è completata dalla colomba dello Spirito Santo: le sue ali sembrano disporsi attorno al collo di Dio Padre, tanto da rendere problematico, a prima vista, il suo riconoscimento.

Su di un piano inferiore e, nell'illusione prospettica, più prossime allo spettatore stanno le figure statuarie di San Giovanni e della Madonna. Il santo evangelista è avvolto in un mantello rosso; sta a mani giunte con lo sguardo rivolto alla croce, nel tipica atteggiamento del "dolente"[2].

Maria invece è stranamente distaccata e si volge verso chi guarda il dipinto. Essa è raffigurata come donna già avanti negli anni, cinta in un mantello blu; con uno sguardo, non di dolore ma di severa impassibilità, e con il gesto della mano destra essa invita lo spettatore a contemplare la crocifissione del figlio. Il suo sguardo non palesa segni di dolore, ma forse solo una rassegnata consapevolezza del destino che doveva compiersi per la salvezza degli uomini[2].

 

Masaccio, Trinità, 1425-28, 1425-27, affresco, Basilica di Santa Maria Novella, Firenze
Masaccio, Trinità, 1425-28, 1425-27, affresco, Basilica di Santa Maria Novella, Firenze

Maria, dettaglio

 


I committenti e il sarcofago


   
Il sarcofago, dettaglio


Più in basso, su di un terzo piano prospettico ancor più prossimo a chi guarda, stanno le due figure inginocchiare dei personaggi in omaggio ai quali l'opera è stata eseguita, forse gli stessi committenti o donatori. Si tratta di un uomo con un mantello ed un turbante rosso e di una donna vestita di blu, raffigurati di profilo – secondo il modello tradizionale dei ritratti adottato all'epoca - mentre pregano rivolgendosi alle persone della Trinità poste nella cappella. La precisione dei lineamenti testimonia la grande qualità di ritrattista che Masaccio dovette possedere. Senza precedenti e rivoluzionaria è la scelta di assegnare ai due comuni mortali proporzioni identiche a quelle delle divinità[7], abbandonando con sicurezza le proporzioni gerarchiche che dominavano la produzione artistica almeno dal IV secolo d.C.

Il registro inferiore dell'affresco è occupato dalla raffigurazione di un sarcofago posto in una nicchia delimitata da due coppie di colonnine; su di esso è posta la figura di uno scheletro ed una scritta con evidente intento didattico di “memento mori”: IO FU’ GIÀ QUEL CHE VOI SETE, E QUEL CH’I’ SON VOI ANCO SARETE. Sorprende tuttavia che non vi siano nel dipinto iscrizioni o stemmi che consentano l'identificazione del defunto, né dei committenti[8].

È piuttosto evidente il contrasto tra la parte inferiore del dipinto, di sapore ancora marcatamente gotico (come il monumento funebre del cardinale La Grange ad Avignone) e quella superiore con le eleganti architetture e l'uso sapiente della prospettiva, elementi tipici della cultura rinascimentale.
   
   
Stile
Se fino ad allora Masaccio era stato l'artista del reale, che calava le sacre scene, pur nella loro inalterata solennità, nella vita di tutti i giorni, con la Trinità si fa teologo, entrando a fondo nel mistero divino[7]. La prima impressione che si ha alla vista dell'affresco è quella di un monumento alla razionalità, con una simmetria e un ordine di iconico misticismo, dove l'immobilità è simbolo dell'atemporalità del dogma cristiano[7].

Il dipinto appare monumentale, finalizzato a creare, attraverso l'uso della prospettiva, l'illusione di una cappella popolata da figure alquanto ieratiche e pesanti, quasi fossero statue policrome. L'affresco appare progettato per essere visto dal lato opposto della navata. È il corpo di Cristo, posto in posizione centrale rispetto alla struttura piramidale del gruppo, lo snodo visivo e concettuale del registro superiore dell'affresco. Sul suo petto si intersecano le linee rette ideali tangenti al capo delle due coppie (donatore-Maria, donatrice-San Giovanni).

I colori impiegati fanno riferimento ad una tavolozza volutamente ristretta, interamente giocata su diversi toni del grigio, del blu e del rosso. Nelle architetture e nelle vesti dei personaggi il blu ed il rosso sono impiegati in termini oppositivi secondo precise simmetrie la cui interpretazione rimane alquanto criptica.


L'impronta di Brunelleschi


Alcuni storici dell'arte suppongono che nel disegno della complessa struttura architettonica, se non addirittura nella stesura pittorica, mise mano anche Filippo Brunelleschi, amico del pittore. Altri tendono a riconoscere nella cappella Barbadori realizzata dall'architetto fiorentino nella chiesa di Santa Felicita in Firenze il modello reale al quale Masaccio deve aver guardato. In ogni caso è verosimile che Masaccio si fosse avvalso di una consulenza specialistica per l'ardita prospettiva spaziale dell'affresco.

Rispetto al opere immediatamente precedenti di Masaccio, di chiara ispirazione donatelliana, la Trinità segna una trasformazione dell'artista verso lo stile brunelleschiano. Le paraste corinzie e gli archi a tutto sesto sono identici a quelli delle architetture brunelleschiane, mentre inconsueto è l'uso della volta a botte a cassettoni. Brunelleschi, a differenza di Leon Battista Alberti, era interessato a una convincente illusione di profondità spaziale, legata però ad aspetti di simbolismo geometrico, in cui la perfezione delle forme pure era metafora dell'armonia divina e della sua Creazione[3]. La volta infatti conduce lo sguardo in profondità e fa cadere l'occhio sul nodo del dipinto, rappresentato dal punto di unione della Trinità divina. Tali linee possono essere viste anche come un'irradiazione verso l'esterno della Gloria divina.


Interpretazione

L'opera è palesemente ricca di significati iconografici e teologici che Masaccio deve aver dettagliatamente discusso con il committente: sul loro senso gli studiosi si sono lungamente interrogati senza tuttavia giungere a pareri uniformi. sicuramente l'opera contiene significati complessi e sovrapposti, senza una singola interpretazione che possa escludere le altre[2].

Innanzitutto non è chiaro cosa simboleggi lo spazio sotto la volta a botte: se una cappella, una tomba, la cappella del Golgota, il tabernacolo di Davide o l'anticamera del Paradiso[2].

Dio Padre si erge a piedi nudi su una piattaforma che è stata alternativamente interpretata come una tomba o l'Arca dell'Alleanza o una semplice tavola sorretta da mensole.

L'evidenza sembra suggerire semplicemente una combinazione tra un monumento funebre e una rappresentazione della Trinità. Il dipinto può quindi essere letto verticalmente, dal basso verso l'alto, come ascensione verso la salvezza eterna: in primo piano il sarcofago con scheletro, che ricorda la transitorietà della vita terrena, poi le due figure inginocchiate che pregano (la dimensione umana), poi la Madonna e San Giovanni nel ruolo di santi intercessori, poi ancora la Passione di Gesù, promessa di salvezza, ed infine la gloria del Padre.

Un'ipotesi avanzata (seguendo la testimonianza del Vasari) è che il dipinto funzionasse come pala d'altare al quale era stato accostato un altare per le funzioni religiose in memoria dei defunti: Dio Padre che presenta il figlio crocefisso sarebbe allora un'immagine che simboleggia il sacrificio eucaristico che si compie sull'altare.

Un'altra ipotesi verosimile è anche che si tratti di un memoriale funerario, vale a dire un'immagine destinata a suscitare la meditazione sulla salvezza eterna di chi visitava la chiesa, assieme al ricordo delle persone defunte.

Il sarcofago potrebbe anche far pensare ad un'adesione alla tradizionale raffigurazione di un teschio ai piedi della croce innalzata sul Golgota (ove una leggenda vuole siano interrati i resti mortali di Adamo). Non si spiega tuttavia, in questo modo, il motivo per il quale vi è raffigurato un sarcofago sul quale giace uno scheletro ed il senso del monito che ricorda l'ineluttabilità dell'ora della morte.

Trattandosi di una rappresentazione in una chiesa domenicana è da sottolineare l'interpretazione della scena che vede in essa l'affermazione della Resurrezione come unica risposta alla morte: il Cristo morto è anche risorto, e anche la nostra morte avrà uguale soluzione.

 
San Giovanni, dettaglio
 
   

   

[1] La Trinità è stata dipinta nel 1425-1427 secondo lo schema del Trono della Grazia molto
frequente dal medioevo per rappresentare la misericordia di Dio, che offre la passione e la
morte del Figlio per la salvezza degli uomini.
Il tema iconografico della Trinità nell'arte sacra del '300 e del primo '400 è rintracciabile in alcune opere per lo più realizzate da pittori anonimi o da pittori minori e di chiara ispirazione popolare.
Un esempio significativo di questa iconografia la possiamo osservare in una tavola di Mariotto di Nardo, un'opera tipicamente gotica a fondo dorato.
Mariotto di Nardo è il figlio dello scultore Nardo di Cione. La sua pittura appartiene allo stile gotico fiorentino e fu molto influenzata da quella di Spinello Aretino e Lorenzo Monaco. Lavorò presso il Duomo di Firenze, la chiesa di Santa Maria Maggiore e Orsanmichele. Il trittico della Trinità di Mariotto di Nardo (1416) fu commissionato da Niccolò Davanzati e proviene dai depositi della Galleria dell'Accademia.
Nel 1400 ebbe una collaborazione con lo scultore Lorenzo Ghiberti, per una pala d'altare realizzata a Pesaro. Le sue opere generalmente sono di piccole dimensioni ma ha realizzato anche pale d'altare e una serie di dipinti raffiguranti La Passione.
[2] I cambiamenti del Vasari | La Basilica di Santa Maria Novella inizialmente era suddivisa in due parti - la parte superiore era divisa da un muro e riservata ai frati, mentre la parte inferiore era aperta ai fedeli che vi accedevano dalla porta ad Est. Il muro fu demolito dal Vasari nel XVI secolo, ma si può ancora riconoscere la divisione tra le due parti all'altezza del Crocifisso di Giotto. Questo spiega anche perchè il pulpito è così spostato verso la parte inferiore della chiesa.
Anche la porta laterale fu chiusa dal Vasari. E' stata riaperta nel 2000 in occasione del Giubileo, in modo da permettere una corretta visualizzazione della Trinità di Masaccio, così come doveva essere in passato.
[3] Spike, cit., pag. 198.
[4] f Spike, cit., pag. 202.
[5] Spike, cit., pag. 204.
[6] Spike, cit., pag. 86.
[7] Spike, cit., pag. 87.
[8] Spike, cit., pag. 205.
[9] Spike, cit., pag. 83.
[10] Su questa ipotesi interpretativa si veda François Bœspflug, La Trinitè dans l'art dOccident (1400 – 1460), Presses Universitaires de Strasbourg, 2006, pag 114 - 117

 


Mariotto di Nardo, Trinità tra due donatori, Basilica-santuario di S. Maria all'Impruneta, Firenze

Masaccio è unanimemente considerato l’iniziatore del Rinascimento. Molto meno anziano degli altri due grandi artisti degli albori di questo periodo, Donatello e Brunelleschi, egli muore molto giovane, privando i posteri della possibilità di ammirare una maturità sicuramente grandiosa. La sua influenza sul mondo artistico rinascimentale è assoluta, anche paragonata a quella avuta da Brunelleschi e Donatello in un periodo di sessant’anni. L’arte di Masaccio si riassume in solo un lustro, eppure raggiunge un alto valore estetico. Tutt’oggi la sua opera più significativa, la Cappella Brancacci, viene considerata “il primo testo della pittura rinascimentale”.Della formazione di Masaccio si sa poco. Si è supposto che egli fosse a bottega da Masolino da Panicale, con il quale collabora spesso ma dalla cui pittura non è minimamente influenzato, semmai il contrario. Il rapporto tra quello che dovrebbe essere l’allievo e il maestro è stato a lungo dibattuto dalla critica. Certo è che i risultati raggiunti da Masaccio nell’arte difficilmente trovano paragone in quelli di Masolino. Nell’opera del primo sembrano più ravvisabili forti suggestioni brunelleschiane e donatelliane ed è probabile che il lavoro col secondo sia stato dettato da motivi pratici.La più antica opera di Masaccio è un “Trittico”, venuto alla luce in tempi moderni, chiamato di Cascia e datato al 1422. Pur se l’impianto dell’opera è piuttosto tradizionale, colpisce l’assetto prospettico caratterizzato da un punto di fuga posto molto in alto, per contribuire a coordinare una certa varietà di temi. Se ne deduce l’importanza che Masaccio dà ai contenuti morali, sacrificando gli spogli ornamenti. Posteriore al “Trittico” è una “Madonna, il Bambino e Sant’Anna”, databile forse al 1424, anno in cui Masaccio inizia a collaborare con Masolino. E’ certo che Masaccio abbia dipinto la Vergine e il Bambino, racchiusi in una piramide volumetrica forte ed indissolubile. Si riscontra nelle immagini di Maria e Gesù - come anche in quella di Sant’Anna, sulla cui totale paternità non si è certi - una caratteristica peculiare di Masaccio: un chiaroscuro cromatico, ovvero creato dal colore.

Art in Tuscany | Masaccio


Bibliografia

Luciano Berti, La Trinità di Masaccio, in AA.VV., Santa Maria Novella, Firenze 1981.

Luciano Berti, Masaccio, Firenze 1988.

Ernst Gombrich, La storia dell'arte, Leonardo Arte, ristampa, Milano 1997, pag. 229

R. Lieberman, Brunelleschi e Masaccio in Santa Maria Novella, "Memorie Domenicane", 12, 1981, pagg. 127-39

AA. VV., La Trinità di Masaccio. Il restauro dell'anno Duemila, Edifir, Firenze 2002

F. Boespflug, La Trinitè dans l'art d'Occident (1400 – 1460), Chapitre IV, Strasburgo, Presses Universitaires de Strasbourg, 2006

John T. Spike, Masaccio, Rizzoli libri illustrati, Milano 2002

Pierluigi De Vecchi ed Elda Cerchiari, I tempi dell'arte, volume 2, Bompiani, Milano 1999.

 

Presunto autoritratto di Masaccio nel San Pietro in cattedra, Cappella Brancacci, Firenze


Museo di Santa Maria Novella | Il museo si trova accanto alla chiesa ed è gestito dalla città di Firenze e quindi prevede un biglietto d'ingresso diverso. Il biglietto include la visita al bellissimo Chiostro Verde e gli affreschi di Paolo Uccello con scene dall'Antico Testamento, che anche se in cattive condizioni, meritano di essere ammirati.
Visiterete anche il Cappellone degli Spagnoli (o Sala Capitolare), così detto perchè usato dalla corte di Eleonora di Toledo, moglie di Cosimo I. La cappella è magnificamente decorata dagli affreschi di Andrea Bonaiuto che raffigurano la passione di Cristo, la morte e la resurrezione sulla parete difronte all'ingresso. Sulla destra, nel Trionfo di San Tommaso d'Aquino (o della Dottrina), i cani di Dio (un gioco di parole con Domenicani - domini canes) sono mandati a cercare le pecore scappate dall'ovile della chiesa. Sulla sinistra, l'altro affresco del Trionfo della Dottrina Cattolica, mentre sulla parte d'ingresso si trovano gli affreschi raffiguranti scende della vita di San Pietro martire.
La visita finisce nell'antico refettorio dove sono conservati preziosi oggetti liturgici della sacrestia e alcune delle sinopie degli affreschi dell'Orcagna recuperate dalla Cappella Tornabuoni.

Museo di Santa Maria Novella | Piazza di Santa Maria Novella, 50123 Firenze (FI)
Orario
Aperto Lunedì, Martedì, Mercoledì, Giovedì, Sabato 9.00-17.00
Festivi 9.00-14.00
Chiusura
Chiuso Venerdì, Domenica, Capodanno, Pasqua, 1 Maggio, 15 Agosto e Natale

 

Santa Maria Novella
Giorgio Vasari | Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri | Masaccio | Pittore Fiorentino

Giorgio Vasari
racconta, nelle sue Vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri (1550, e poi, riveduta e accresciuta, 1568), del lavoro di Masaccio sugli affreschi della Cappella Brancacci nella chiesa del Carmine di Firenze. L'affresco di Masaccio sulla porta del convento, ispirato alla festa della consacrazione della chiesa, è andato perduto alla fine del Cinquecento.

Accadde, mentre che e' lavorava in questa opera, che e' fu consagrata la detta chiesa del Carmine da tre vescovi, e Masaccio in memoria di ciò, di verde terra dipinse, di chiaro e scuro, sopra la porta che va in convento, dentro nel chiostro, tutta la sagra come ella fu. E vi ritrasse infinito numero di cittadini in mantello et in cappuccio, che vanno dietro a la processione, fra i quali fece Filippo di Ser Brunellesco in zoccoli, con Donato scultore et altri suoi amici domestici. Dopo questo, ritornato a 'l lavoro della cappella, seguitando le istorie di San Piero cominciate da Masolino, ne finì una parte, ciò è la istoria della cattedra, il liberare gli infermi, suscitare i morti et il sanare gli attratti con l'ombra nello andare a 'l tempio con San Giovanni. Ma tra l'altre notabilissima apparisce quella dove San Piero per pagare il tributo, cava per commissione di Cristo i danari de 'l ventre del pesce; perché, oltra il vedersi quivi in uno Apostolo che è nello ultimo il ritratto stesso di Masaccio, fatto da lui medesimo a lo specchio, che par vivo vivo, e' vi si conosce lo ardire di San Piero nella dimanda e la attenzione de gli Apostoli nelle varie attitudini intorno a Cristo, aspettando la resoluzione con gesti sí pronti che veramente appariscon vivi. Et il San Piero massimamente, il quale nello affaticarsi a cavare i danari del ventre del pesce ha la testa focosa per lo stare chinato. E molto più quando e' paga il tributo, dove si vede lo affetto del contare e la sete di colui che riscuote, che si guarda i danari in mano con grandissimo piacere. Dipinsevi ancora la resurressione del figliuolo del re, fatta da San Piero e San Paulo, ancora che per la morte di esso Masaccio restasse imperfetta l'opera che fu poi finita da Filippino. Nella istoria dove San Piero battezza, si stima grandemente uno ignudo che triema tra gli altri battezzati assiderando di freddo, condotto con bellissimo rilievo e dolce maniera, il quale da gli artefici e vecchi e moderni è stato sempre tenuto in riverenza et ammirazione, per il che da infiniti disegnatori e maestri continuamente fino a 'l dí d'oggi è stata frequentata questa cappella. Nella quale sono ancora alcune teste vivissime e tanto belle, che ben si può dire che nessun maestro di quella età si accostasse tanto a' moderni quanto costui. Laonde le sue fatiche meritano infinitissime lodi, e massimamente per avere egli dato ordine nel suo magistero alla bella maniera de' tempi nostri.

Giorgio Vasari, Vite de' più eccellenti architetti, scultori e pittori italiani da Cimabue insino a' tempi nostri, a cura di L. Bellosi e A. Rossi, Einaudi, Torino 1986.


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