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Statue of Dante in the Piazza di Santa Croce in Florence
Monumento a Dante in Piazza Santa Croce a Firenze (1865) [Fotografia da Ron Reznick | ronreznick.photoshelter.com] [0]

 
« A l'alta fantasia qui mancò possa;
ma già volgeva il mio disio e 'l velle,
sì come rota ch'igualmente è mossa,
l'amor che move il sole e l'altre stelle. »
(Dante Alighieri, Divina commedia, Paradiso, Canto XXXIII, vv. 142-145)

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Dante Alighieri

   
   
Dante Alighieri, detto semplicemente Dante, battezzato come Durante di Alighiero degli Alighieri (Firenze, tra il 22 maggio ed il 13 giugno 1265 – Ravenna, 14 settembre 1321), è stato un poeta, scrittore e politico italiano. Considerato il padre della lingua italiana, è l'autore della Comedìa, divenuta celebre come Divina Commedia ed universalmente considerata la più grande opera scritta in italiano e uno dei più grandi capolavori della letteratura mondiale.[1]

Il suo nome, secondo la testimonianza di Jacopo Alighieri, è un ipocoristico di Durante:[2] nei documenti era seguito dal patronimico Alagherii o dal gentilizio de Alagheriis, mentre la variante Alighieri si affermò solo con l'avvento di Boccaccio.[3]

È conosciuto come il Sommo Poeta, o, per antonomasia, il Poeta.



Vita

I primi anni e le origini familiari

La data di nascita di Dante è sconosciuta anche se, in genere, viene indicata attorno al 1265, sulla base di alcune allusioni autobiografiche riportate nella Vita Nova e nella cantica dell'Inferno - che comincia con la frase "Nel mezzo del cammin di nostra vita": poiché in altre sue opere, seguendo una tradizione ben nota, la metà della vita dell'uomo viene considerata di 35 anni, e svolgendosi il viaggio immaginario nel 1300, si risalirebbe al 1265. Alcuni versi del Paradiso ci dicono poi che egli nacque sotto il segno dei Gemelli, quindi in un periodo compreso fra il 21 maggio e il 21 giugno:

« L'aiuola che ci fa tanto feroci,
volgendom' io con li etterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci;
poscia rivolsi li occhi a li occhi belli. »
(Paradiso, Canto XXII, 151-154)

Secondo riferimenti indiretti è possibile poi risalire alla data di nascita di Dante nel periodo compreso tra il 14 maggio e il 13 giugno del 1265. Tuttavia, se sconosciuto è il giorno della sua nascita, certo invece è quello del battesimo: il 26 marzo 1266, Sabato Santo. Quel giorno vennero portati al sacro fonte tutti i nati dell'anno per una solenne cerimonia collettiva. Dante venne battezzato con il nome di Durante, poi sincopato in Dante, in ricordo di un parente ghibellino.[4]

Boccaccio racconta che la sua nascita fu preannunciata da lusinghieri auspici. La madre di Dante infatti, poco prima di darlo alla luce, ebbe una visione: sognò di trovarsi sotto un alloro altissimo, in mezzo a un vasto prato con una sorgente zampillante insieme al piccolo Dante appena partorito, e di vedere il bimbo tendere la piccola mano verso le fronde, mangiare le bacche e trasformarsi in un magnifico pavone.[5]

Dante nacque nell'importante famiglia fiorentina degli Alighieri, legata alla corrente dei guelfi, un'alleanza politica coinvolta in una complessa opposizione ai ghibellini; gli stessi guelfi si divisero poi in guelfi bianchi e guelfi neri.

Dante credeva che la sua famiglia discendesse dagli antichi Romani (Inferno, Canto XV, 76), ma il parente più lontano di cui egli fa nome è il trisavolo Cacciaguida degli Elisei (Paradiso, Canto XV, 135), vissuto intorno al 1100. Dal punto di vista giuridico perciò la presunta nobiltà derivantegli da questa ascendenza, già di per sé dubbia, si era comunque estinta da tempo. Il nonno paterno, Bellincione, era un popolano, e un popolano sposò la sorella di Dante.[5]

Suo padre, Aleghiero o Alighiero di Bellincione, svolgeva la non gloriosa professione di compsor (cambiavalute), con la quale riuscì a procurare un dignitoso decoro alla numerosa famiglia. Era un guelfo ma senza ambizioni politiche: per questo i ghibellini, dopo la battaglia di Montaperti non lo esiliarono come altri guelfi, giudicandolo un avversario non pericoloso.[5]

La madre di Dante era Bella degli Abati: Bella era diminutivo di Gabriella, Abati era il nome di un'importante famiglia ghibellina. Di lei si sa poco. Dante ne tacerà sempre.[5] Morì quando Dante aveva cinque o sei anni ed Alaghiero presto si risposò con Lapa di Chiarissimo Cialuffi che mise al mondo Francesco e Tana (Gaetana) e forse anche - ma potrebbe essere stata anche figlia di Bella degli Abati - un'altra figlia ricordata dal Boccaccio come moglie del banditore fiorentino Leone Poggi e madre del suo amico Andrea Poggi. Si ritiene che a lei alluda Dante nella Vita Nova (XXIII, 11-12), chiamandola «donna giovane e gentile [...] di propinquissima sanguinitade congiunta».


Il matrimonio e la carriera politica

 

Sandro Botticelli, Ritratto di Dante Alighieri






Quando Dante aveva dodici anni, nel 1277, fu concordato il suo matrimonio con Gemma, figlia di Messer Manetto Donati, che successivamente sposò all'età di vent'anni. Contrarre matrimoni in età così precoce era abbastanza comune a quell'epoca; lo si faceva con una cerimonia importante, che richiedeva atti formali sottoscritti davanti ad un notaio. La famiglia a cui Gemma apparteneva - i Donati - era una delle più importanti nella Firenze tardo-medievale e in seguito divenne il punto di riferimento per lo schieramento politico opposto a quello del poeta, i guelfi neri. Politicamente Dante apparteneva alla fazione dei guelfi bianchi, che, pur trovandosi nella lotta per le investiture schierati col papa, contavano molte famiglie della nobiltà signorile e feudale più antica ed erano contrari ad un eccessivo aumento del potere temporale papale. Dante, in particolare, nella sua opera De Monarchia auspicava l'indipendenza del potere imperiale dal papa, pur riconoscendo a quest'ultimo una superiore autorità morale.

Da Gemma Dante ebbe tre figli: Jacopo, Pietro e Antonia. Antonia divenne monaca con il nome di Sorella Beatrice, sembra nel Convento delle Olivetane a Ravenna. Si dice fosse figlio suo anche un certo "Iohannes filius Dantis Aligherii de Florentia", che compare come testimone in un atto del 21 ottobre 1308 a Lucca.

A Firenze ebbe una carriera politica di discreta importanza: dopo l'entrata in vigore dei regolamenti di Giano della Bella (1295), che escludevano l'antica nobiltà dalla politica permettendo ai ceti intermedi di ottenere ruoli nella Repubblica, purché iscritti a un'Arte, Dante si immatricolò all'Arte dei Medici e Speziali.

L'esatta serie dei suoi incarichi politici non è conosciuta, poiché i verbali delle assemblee sono andati perduti. Comunque, attraverso altre fonti, si è potuta ricostruire buona parte della sua attività: fu nel Consiglio del popolo dal novembre 1295 all'aprile 1296; fu nel gruppo dei "Savi", che nel dicembre 1296 rinnovarono le norme per l'elezione dei priori, cioè dei massimi rappresentanti di ciascuna Arte; dal maggio al settembre del 1296 fece parte del Consiglio dei Cento. Fu inviato talvolta nella veste di ambasciatore, come nel maggio del 1300 a San Gimignano. Lo stesso anno fu priore dal 15 giugno al 15 agosto.

Nonostante l'appartenenza al partito guelfo, egli cercò sempre di osteggiare le ingerenze del suo acerrimo nemico papa Bonifacio VIII. Con l'arrivo del cardinale Matteo d'Acquasparta, inviato come paciere, almeno nominale (in realtà spedito dal papa per ridimensionare la potenza della parte dei guelfi bianchi, in quel periodo in piena ascesa sui Neri), Dante cercò, con successo, di ostacolare il suo operato. Egli stesso si recò dal papa per cercare di trovare un compromesso alla pace ma durante il viaggio venne bloccato e condannato in contumacia.

Quale membro del Consiglio dei Cento, fu tra i promotori del discusso provvedimento che spedì ai due estremi della Toscana i capi e le "teste calde" delle due fazioni. Questo non solo fu una disposizione inutile (presto essi tornarono alla spicciolata) ma fece rischiare un colpo di stato da parte dei Neri, che stavano per approfittare della situazione quando i Bianchi erano senza leader, ritardando oltre misura l'inizio del loro esilio. Inoltre il provvedimento attirò sui responsabili, Dante compreso, sia l'odio della parte nemica sia la diffidenza degli "amici", e da lui stesso fu definito come l'inizio della sua rovina.

Con l'invio di Carlo di Valois a Firenze, mandato dal papa come teorico paciere, ma di fatto conquistatore, la Repubblica spedì a sua volta a Roma un'ambasceria di cui faceva parte essenziale Dante stesso, accompagnato da Maso Minerbetti e da Corazza da Signa.

Dante si trovava quindi a Roma, sembra trattenuto oltre misura da Bonifacio VIII, quando Carlo di Valois, al primo subbuglio cittadino prese pretesto per mettere a ferro e fuoco Firenze con un colpo di mano. Il 9 novembre 1301 Cante Gabrielli da Gubbio fu nominato Podestà di Firenze. Questi appartenente ai guelfi neri, diede inizio ad una politica di sistematica persecuzione degli esponenti politici di parte bianca ostili al papa, e che si risolse alla fine nella loro uccisione o nell'esilio. Con due condanne successive, quella del 27 gennaio e quella del 10 marzo 1302, che colpirono inoltre numerosi esponenti delle famiglie dei Cerchi e dei Gherardini, il poeta fu condannato da Cante Gabrielli, in contumacia, al rogo ed alla distruzione delle case. Dante fu raggiunto dal provvedimento di esilio a Roma e non rivide mai più Firenze.


Gli anni dell'esilio e la morte

Durante l'esilio, Dante fu ospite di diverse corti e famiglie della Romagna, fra cui gli Ordelaffi, signori ghibellini di Forlì, dove probabilmente si trovava quando l'imperatore Enrico VII di Lussemburgo entrò in Italia. Qui è possibile che abbia conosciuto le opere del famoso pensatore ebreo Hillel ben Samuel da Verona, che era da poco morto, dopo aver trascorso a Forlì gli ultimi anni della sua vita.

Dopo i falliti tentati colpi di mano del 1302, Dante, in qualità di capitano dell'esercito degli esuli, organizzò insieme a Scarpetta Ordelaffi, capo del partito ghibellino e signore di Forlì, un nuovo tentativo di rientrare a Firenze. L'impresa, però, fu sfortunata: il podestà di Firenze, un altro forlivese (nemico degli Ordelaffi), Fulcieri da Calboli, riuscì ad avere la meglio nella battaglia di Castel Puliciano; fallita, anche, l’azione diplomatica nella primavera del 1304, del cardinale Niccolò da Prato, legato pontificio di papa Benedetto XI, sul quale Dante aveva riposto molte speranze, il 20 luglio dello stesso anno i Bianchi, riuniti alla Lastra, una località a pochi chilometri da Firenze, decisero di intraprendere un nuovo attacco militare contro i Neri. Dante, ritenendo corretto aspettare un momento politicamente più favorevole, si schierò contro l'ennesima lotta armata, trovandosi in minoranza al punto che i più intransigenti formularono su di lui dei sospetti di tradimento, decise di non partecipare alla battaglia e prendere le distanze dal gruppo. Come preventivato dallo stesso, la battaglia di Lastra fu un vero e proprio fallimento con la morte di quattrocento uomini fra ghibellini e bianchi, il messaggio profetico ci arriva da Cacciaguida:

« Di sua bestialitate il suo processo
farà la prova; sí ch’a te fia bello
averti fatta parte per te stesso. »
(Paradiso, Canto XVII, 67-69)

Dante tornò a Forlì ancora nel 1310-1311 e nel 1316 (data incerta, quest'ultima).


 
Dante terminò le sue peregrinazioni a Ravenna, dove trovò asilo presso la corte di Guido Novello da Polenta, signore della città,[6] tuttavia i rapporti con Verona non cessarono, come testimoniato dalla sua presenza nella città veneta il 20 gennaio 1320, per discutere la Quaestio de aqua et terra, ultima sua opera latina.

Morì a Ravenna il 14 settembre 1321 di ritorno da un'ambasceria a Venezia. Passando dalle paludose Valli di Comacchio contrasse la malaria.
Venezia era all'epoca in attrito con Ravenna ed in alleanza con Forlì: gli storici pensano che sia stato scelto Dante per quella missione in quanto amico degli Ordelaffi, signori di Forlì, e quindi in grado di trovare più facilmente una via per comporre le divergenze. I funerali, in pompa magna, vennero officiati nella chiesa di San Francesco a Ravenna, dove, sotto un portico laterale, venne posto il primo sarcofago del poeta. Intorno al sarcofago nel 1483 venne costruita una cella, su progetto dello scultore Pietro Lombardo; nel 1780 Camillo Morigia, su incarico del cardinale legato Luigi Valenti Gonzaga, progettò il tempietto neoclassico tuttora visibile. Per sottrarre i resti del poeta a un possibile trafugamento da parte dei fiorentini, i Francescani tolsero le ossa dal sepolcro, nascondendole dietro a una porta murata nel convento; questo episodio fece nascere la leggenda che la tomba fosse in realtà un cenotafio, ossia una tomba vuota. Le ossa furono rinvenute casualmente da un muratore durante i lavori di restauro del 1865, condotti in occasione del VI centenario della nascita di Dante, e quindi riportate all'interno del tempietto del Morigia.

Nel sepolcro di Dante, sotto un piccolo altare si trova l'epigrafe in versi latini dettati da Bernardo da Canaccio nel 1366::

 

Il più antico ritratto documentato di Dante Alighieri conosciuto, Palazzo dell'Arte dei Giudici e Notai, Firenze
(LA)
« IVRA MONARCHIE SVPEROS PHLAEGETONTA LACVSQVE LUSTRANDO CECINI FATA VOLVERVNT QVOVSQVE SED QVIA PARS CESSIT MELIORIBVS HOSPITA CASTRIS ACTOREMQVE SVVM PETIIT FELICIOR ASTRIS HIC CLAVDOR DANTES PATRIS EXTORRIS ABORIS QVIA GENVIT PARVI FLORENTIA MATRIS AMORIS. »
(IT)
« I diritti della monarchia, i cieli e le acque di Flegetonte (gli inferi) visitando cantai finché volsero i miei destini mortali. Poiché però la mia anima andò ospite in luoghi migliori, ed ancor più beata raggiunse tra le stelle il suo Creatore, qui sto racchiuso, (io) Dante, esule dalla patria terra, cui generò Firenze, madre di poco amore.»
 


(Epigrafe)


Studi

 
Poco si sa circa gli studi di Dante. La cultura dantesca, formatasi in un contesto educativo totalmente diverso da quello attuale, è ricostruibile, in assenza di dati documentari affidabili, innanzitutto a partire dalle opere. Si ottiene così l'immagine di un attento studioso di teologia, filosofia, fisica, astronomia, grammatica e retorica: in breve, di tutte le discipline del trivium e del quadrivium previste dalle scuole e dalle Universitates medievali.

Ad ogni modo, è probabile che il poeta abbia frequentato gli studia religiosi e laici di cui si ha notizia a Firenze. Alcuni ritengono che Dante abbia studiato presso l'Università di Bologna, ma non vi sono prove in proposito. In un verso della Divina Commedia (Paradiso, Canto X, 133-138) Che, leggendo nel Vico de li Strami, silogizzò invidïosi veri, Dante allude a Rue du Fouarre, dove si svolgevano le lezioni della Sorbona: questo ha fatto pensare a qualche commentatore, in modo puramente congetturale, che Dante possa essersi realmente recato a Parigi.

Ovviamente, la cultura ufficiale delle Università era essenzialmente in lingua latina. Di conseguenza, la cultura letteraria di Dante è basata principalmente sugli autori latini: in particolare Virgilio, che ebbe un'influenza determinante sulle opere dantesche. Dante, tuttavia, conobbe certamente un buon numero di poeti volgari, sia italiani che provenzali. Nelle sue opere è evidente il legame con la poesia toscana di Guittone d'Arezzo e di Bonagiunta Orbicciani (cfr. Purgatorio, Canto XXIV, 52-62), di Guido Guinizzelli e della Scuola poetica siciliana - una corrente letteraria attiva alla corte di Federico II, corrente che si esprimeva in volgare e che proprio allora stava cominciando ad essere conosciuta in Toscana, avendo in Giacomo da Lentini (il famoso "Notaro" di cui alla citazione precedente) il suo maggior esponente. La conoscenza del provenzale da parte di Dante è ricostruibile sia dalle citazioni contenute nel De vulgari eloquentia sia dai versi provenzali inseriti nel Purgatorio (Canto XXVI, 140-147).

Alla scelta di Dante di utilizzare la lingua volgare per scrivere alcune delle sue opere possono avere influito notevolmente le opere di Andrea da Grosseto, letterato del Duecento che utilizzava la lingua volgare da lui parlata, il dialetto grossetano dell'epoca, per la traduzione di opere prosaiche in latino, come i trattati di Albertano da Brescia.[7]

In virtù dei suoi interessi, Dante apprese la tradizione dei menestrelli, dei poeti provenzali e la stessa cultura latina, professando, come già detto, una devozione particolare per Virgilio:

« Tu se' lo mio maestro e 'l mio autore,
tu se' solo colui da cu' io tolsi
lo bello stilo che m'ha fatto onore. »
(Inferno, Canto I, 85-87)

Dovrebbe essere sottolineato che, durante il Medioevo, le rovine dell'Impero romano decaddero definitivamente, lasciando spazio a dozzine di piccoli stati: la Sicilia, ad esempio, era tanto lontana - culturalmente e politicamente - dalla Toscana quanto lo era la Provenza. Le stesse regioni, in buona sostanza, non condividevano una lingua o una cultura comune né tanto meno potevano usufruire di facili collegamenti. Sulla base di queste premesse, è possibile supporre che Dante fosse per la sua epoca un intellettuale aggiornato, acuto e con interessi, come si direbbe oggi, internazionali.


Lo Stilnovo e Beatrice


Nel 1921 lo scultore Hendrik Christian Andersen realizzò una medaglia in cemento armato, dedicata a Dante e Beatrice, collocata nel chiostro della chiesa dell’Abbazia di Vallombrosa. Lo scultore norvegese naturalizzato americano Hendrik Christian Andersen (1872-1940), conobbe i boschi di Vallombrosa nel 1908, a coronamento dei suoi lunghi soggiorni in Toscana e dopo le importanti esperienze maturate in seno alla comunità artistica di Roma.


A diciotto anni Dante incontrò Lapo Gianni, Cino da Pistoia e subito dopo Brunetto Latini: insieme essi divennero i capiscuola del Dolce Stil Novo. Brunetto Latini successivamente fu ricordato dal poeta nella Divina Commedia (Inferno, XV, 82) per quello che aveva insegnato a Dante, non come un semplice maestro ma come uno dei più grandi luminari che segnò profondamente la sua carriera letteraria e filosofica: maestro di retorica, abile compilatore di trattati enciclopedici, dovette iniziarlo alla letteratura cortese provenzale e francese, scrivendo il Tresor proprio in Francia. Brunetto mette in evidenza il rapporto tra gli studi di grammatica (latino) e di retorica e la filosofia amorosa cortese, gettando le basi degli interessi speculativi del futuro Dante. Altri studi sono inoltre segnalati, o sono dedotti dalla Vita Nova o dalla Divina Commedia, per ciò che riguarda la pittura e la musica.

All'età di nove anni Dante si innamorò di Beatrice, la figlia di Folco Portinari. Si è detto che Dante la vide soltanto una volta e mai le parlò (ma altre versioni sono da ritenersi ugualmente valide). Più interessante però, al di là degli scarni dati biografici che ci sono rimasti, è la Beatrice divinizzata e dunque sublimata della Vita Nova: l'angelo che opera la conversione spirituale di Dante sulla Terra, lo studio psicologico che compie il poeta sul proprio innamoramento. L'introspezione psicologica, l'autobiografismo, ignoto al Medioevo, guardano già al Petrarca e più lontano ancora, al Rinascimento. Il nome Beatrice assumerà soprattutto nella Divina Commedia la sua reale importanza, in quanto, etimologicamente parlando, significa Portatrice di Beatitudine, tanto che solo questa figura potrà condurre Dante lungo il percorso del Paradiso.

È difficile riuscire a capire in cosa sia consistito questo amore, ma qualcosa di estremamente importante stava accadendo per la cultura italiana: è nel nome di questo amore che Dante ha dato la sua impronta al Dolce Stil Novo e condurrà i poeti e gli scrittori a scoprire i temi dell'amore, in un modo mai così enfatizzato prima.

L'amore per Beatrice (come in modo differente Francesco Petrarca mostrerà per la sua Laura) sarà il punto di partenza per la formulazione della sua concezione del Dolce Stil Novo, nuova concezione dell'amor cortese sublimata dalla sua intensa sensibilità religiosa (il culto mariano con le laudi arrivato a Dante attraverso le correnti pauperistiche del Duecento, dai Francescani in poi), per poi approdare alla filosofia dopo la morte dell'amata, che segna simbolicamente il distacco dalla tematica amorosa e l'ascesa del Sommo Poeta verso la Sapienza, luce abbacinante e impenetrabile che avvolge Dio nel Paradiso della Divina Commedia.

Figura dei corpi celesti, modello geocentrico dell'Universo secondo il cosmografo e cartografo portoghese Bartolomeu Velho (Bibliothèque Nationale de France, Paris)

   
   
Filosofia e politica

Quando Beatrice morì nel 1290, Dante cercò di trovare un rifugio nella letteratura latina. Dal Convivio sappiamo che aveva letto il De consolatione philosophiae di Boezio e il De amicitia di Cicerone. Egli allora si dedicò agli studi filosofici presso le scuole religiose come quella Domenicana in Santa Maria Novella. Prese parte alle dispute che i due principali ordini religiosi (Francescani e Domenicani) pubblicamente o indirettamente tennero in Firenze, gli uni spiegando la dottrina dei mistici e di San Bonaventura, gli altri presentando le teorie di San Tommaso d'Aquino. La sua "eccessiva" passione per la filosofia gli sarebbe stata successivamente rimproverata da Beatrice nel Purgatorio.

Dante fu anche soldato, e l'11 giugno 1289 combatté nella battaglia di Campaldino che vide contrapposti i cavalieri fiorentini ad Arezzo; successivamente, nel 1294, avrebbe fatto parte della delegazione di cavalieri che scortò Carlo Martello d'Angiò (figlio di Carlo II d'Angiò) quando questi si trovava a Firenze. Dante stesso cita Carlo Martello d'Angiò nella Divina Commedia (Paradiso, Canto VIII, 31 e Canto IX, 1).

Domenico di Michelino, Dante and the Three Kingdoms, 1465
Domenico di Michelino, Dante and the Three Kingdoms, 1465, oil on canvas, Museo dell'Opera del Duomo, Florence


Opere

Il Fiore e Detto d'Amore


   

Due opere poetiche in volgare di argomento, lessico e stile affini, collocate in un periodo cronologico che va dal 1283 al 1287, sono state attribuite con una certa sicurezza a Dante dalla critica novecentesca, soprattutto a partire dal lavoro del filologo dantesco Gianfranco Contini: Il Fiore e Detto d'Amore sono due elaborati poemetti inscrivibili nell'opera giovanile del poeta, precedente al soggiorno bolognese del 1287.


Le Rime

Le Rime sono una raccolta messa insieme e ordinata da moderni editori, che riunisce il complesso della produzione lirica dantesca dalle prove giovanili a quelle dell'età matura. Le rime giovanili comprendono componimenti che riflettono le varie tendenze della lirica cortese del tempo, quella guittoniana, quella guinizzelliana e quella cavalcantiana. Tra questo gruppo di testi Dante aveva scelto quelli che dovevano entrare a far parte della Vita Nova.


Vita Nova

La Vita Nova, che può essere considerata il racconto di una vicenda autobiografica resa come exemplum, narra la vita spirituale e l'evoluzione poetica di Dante; è strutturata in quarantadue (o trentuno[8]) capitoli in prosa collegati in una storia omogenea, che spiega una serie di testi poetici composti in tempi differenti, tra cui hanno particolare rilevanza la canzone-manifesto Donne ch'avete intelletto d'amore e il celebre sonetto Tanto gentile e tanto onesta pare.

L'opera è consacrata all'amore per Beatrice e fu composta probabilmente tra il 1292 e il 1293. La composizione delle rime si può far risalire, secondo la cronologia che Dante fornisce, tra il 1283 come risulta dal sonetto A ciascun alma presa e dopo il giugno del 1291, anniversario della morte di Beatrice. Per stabilire con una certa sicurezza la data della composizione del libro nel suo insieme organico, ultimamente la critica è propensa ad avvalersi del 1300, data non superabile, che corrisponde alla morte del destinatario Guido Cavalcanti: "Questo mio primo amico a cui io ciò scrivo" (Vita Nova, XXX, 3).

Quest'opera ha avuto una particolare fortuna negli Stati Uniti, dove fu tradotta dal grande filosofo e letterato Ralph Waldo Emerson.


Convivio

Il Convivio (1304-1307), dal latino convivium, ovvero "banchetto" (di sapienza), è la prima delle opere di Dante scritta subito dopo il forzato allontanamento di Firenze. È un prosimetro che si presenta come un'enciclopedia dei saperi più importanti per coloro che vogliano dedicarsi all'attività pubblica e civile senza aver compiuto gli studi superiori. È scritta in volgare per essere appunto capita da chi non ha avuto la possibilità in precedenza di studiare il latino. L'incipit del Convivio fa capire chiaramente che l'autore è un grande conoscitore e seguace di Aristotele; questi, infatti, viene citato con il termine "Lo Filosofo". L'incipit in questo caso spiega a chi è rivolta quest'opera e a chi non è rivolta: soltanto coloro che non hanno potuto conoscere la scienza dovrebbero accedervi. Questi sono stati impediti da due tipi di ragioni:
Interne: malformazioni fisiche, vizi e malizia
Esterne: cura familiare, civile e difetto di luogo di nascita

Dante ritiene beati i pochi che possono partecipare alla mensa della scienza, dove si mangia il "pane degli angeli", e miseri coloro che si accontentano di mangiare il cibo delle pecore. Dante non siede alla mensa, ma è fuggito da coloro che mangiano il pastume e ha raccolto quello che cade dalla mensa degli eletti per crearne un altro banchetto. A questo convivio saranno invitati solo coloro che sono stati impediti da ragioni esterne, perché gli altri non avrebbero la capacità di capire. L'autore allestirà un banchetto e servirà una vivanda (i componimenti in versi) accompagnata dal pane (la prosa) necessario per assimilarne l'essenza. Saranno invitati a sedersi solo coloro che erano stati impediti da cura familiare e civile, mentre i pigri sarebbero stati ai loro piedi per raccogliere le briciole.


De vulgari eloquentia

Contemporaneo al Convivio il De vulgari eloquentia è un trattato in lingua latina scritto da Dante Alighieri tra il 1303 e il 1304. Composto da un primo libro intero e da 14 capitoli del secondo libro, era inizialmente destinato a comprendere quattro libri.

Pur affrontando il tema della lingua volgare, fu scritto in latino perché gli interlocutori a cui Dante si rivolse appartenevano all'élite culturale del tempo, che forte della tradizione della letteratura classica riteneva il latino senz'altro superiore a qualsiasi volgare, ma anche per conferire alla lingua volgare una maggior dignità: il latino era infatti usato soltanto per scrivere di legge, religione e trattati internazionali, cioè argomenti della massima importanza. Dante si lanciò in un'appassionata difesa del volgare, dicendo che meritava di diventare una lingua illustre in grado di competere se non uguagliare la lingua di Virgilio, sostenendo però che per diventare una lingua in grado di trattare argomenti importanti il volgare doveva essere:
illustre (in quanto luminoso e quindi capace di dare lustro a chi ne fa uso nello scritto),
cardinale (tale che intorno ad esso ruotassero come una porta intorno al cardine, i volgari regionali),
aulico (reso nobile dal suo uso dotto, tale da esser parlato nella reggia),
curiale (come linguaggio delle corti italiane, e da essere adoperato negli atti politici di un sovrano).

Con tali termini intendeva l'assoluta dignità del volgare anche come lingua letteraria, non più come lingua esclusivamente popolare. Dopo avere ammesso la grande dignità del siciliano illustre, la prima lingua letteraria assunta a dignità nazionale, passa in rassegna tutti gli altri volgari italiani trovando nell'uno alcune, nell'altro altre delle qualità che sommate dovrebbero costituire la lingua italiana. Dante vede nell'italiano la panthera redolens dei bestiari medievali, animale che attrae la sua preda (qui lo scrittore) con il suo irresistibile profumo, che Dante sente in tutti i volgari regionali, e in particolare nel siciliano, senza però riuscire mai a vederla materializzarsi: manca in effetti ancora una lingua italiana utilizzabile in tutti i suoi registri, da tutti gli strati della popolazione italiana. Per farla riapparire era dunque necessario attingere alle opere dei migliori scrittori italiani, ma molti di quei libri attendevano ancora di essere scritti, e in questo senso il trattato di Dante è un appello ai dotti lettori alla cui penna chiedeva disperatamente aiuto.


De Monarchia

L'opera è divisa in tre libri. Nel primo Dante afferma la necessità di un impero universale e autonomo, e riconosce questo impero come unica forma di governo capace di garantire unità e pace. Nel secondo riconosce la legittimità del diritto dell'impero da parte dei Romani. Nel terzo libro Dante dimostra che l'autorità del monarca è una volontà divina, e quindi dipende da Dio: non è soggetta all'autorità del pontefice.
La posizione dantesca è per più aspetti originale. Essa è in contrasto tanto con i sostenitori della concezione ierocratica, quanto con i sostenitori dell'autonomia politica e religiosa dei sovrani nazionali rispetto all'imperatore e al papa.


Commedia

 

Domenico di Michelino, Dante con in mano la Divina Commedia, Santa Maria del Fiore, Firenze


Dante Alighieri, Le Rime, con un ritratto di Dante (Giovanni del Ponte, attribuito). Metà del XV secolo, Firenze, Biblioteca Riccardiana

 

Dante in un affresco di Luca Signorelli, San Brizio Chapel, Duomo, Orvieto

La Comedìa — titolo originale dell'opera — è il capolavoro del poeta fiorentino ed è considerata la più importante testimonianza letteraria della civiltà medievale nonché una delle più grandi opere della letteratura universale. Viene definita "comedia" in quanto scritta in stile "comico", ovvero non aulico. Un'altra interpretazione si fonda sul fatto che il poema inizia da situazioni piene di dolore e paura e finisce con la pace e la sublimità della visione di Dio. Dante iniziò a lavorare all'opera intorno al 1300 (anno giubilare, tanto che egli data al 7 aprile di quell'anno il suo viaggio nella selva oscura) e la continuò nel resto della vita, pubblicando le cantiche man mano che le completava. Si hanno notizie di copie manoscritte dell'Inferno intorno al 1313, mentre il Purgatorio fu pubblicato nei due anni successivi. Il Paradiso, iniziato forse nel 1316, fu pubblicato man mano che si completavano i canti negli ultimi anni di vita del poeta.

Il poema è diviso in tre libri o cantiche, ciascuno formato da 33 canti (tranne l'Inferno che ne presenta 34, poiché il primo funge da proemio all'intero poema); ogni canto si compone di terzine di endecasillabi. La Commedia tende a una rappresentazione ampia e drammatica della realtà, ben lontana dalla pedante poesia didattica medievale, ma intrisa di una spiritualità cristiana nuova che si mescola alla passione politica e agli interessi letterari del poeta. Si narra di un viaggio immaginario nei tre regni dell'aldilà, nei quali si proiettano il bene e il male del mondo terreno, compiuto dal poeta stesso, quale "simbolo" dell'umanità, sotto la guida della ragione e della fede. Il percorso tortuoso e arduo di Dante, il cui linguaggio diventa sempre più complesso quanto più egli sale verso il Paradiso, rappresenta, sotto metafora, anche il difficile processo di maturazione linguistica del volgare illustre, che si emancipa dai confini angusti entro i quali lo aveva rinchiuso il pregiudizio scolastico medievale. Dante è accompagnato sia nell'Inferno che nel Purgatorio dal suo maestro Virgilio; in Paradiso da Beatrice e da San Bernardo.


Epistola XIII a Cangrande della Scala

L'Epistola XIII a Cangrande I della Scala, risalente agli anni tra il 1315 e 1317, è l'ultima e la più rilevante delle sole tredici epistole dantesche attualmente conservate; essa contiene la dedica del Paradiso al signore di Verona, nonché importanti indicazioni per la lettura della Commedia: il soggetto (la condizione delle anime dopo la morte), la pluralità dei sensi, il titolo (che deriva dal fatto che inizia in modo aspro e triste e si conclude con il lieto fine), la finalità dell’opera che non è solo speculativa, ma pratica poiché mira a rimuovere i viventi dallo stato di miseria per portarli alla felicità.


Egloghe

Le Egloghe sono due componimenti di carattere bucolico scritti in lingua latina tra il 1319 ed il 1320 a Ravenna, facenti parte di una corrispondenza con Giovanni del Virgilio, intellettuale bolognese, i cui due componimenti finiscono sotto il titolo di Egloga I e Egloga III, mentre quelli danteschi sono l'Egloga II e Egloga IV.

 


La Divina Commedia illustrata da Sandro Botticelli

La Divina Commedia illustrata da Sandro Botticelli


   
Sandro Botticelli, Inferno, 1480s, silverpoint on parchment, completed in pen and ink, coloured with tempera Biblioteca Vaticana, Rome


Attorno al 1490, Lorenzo di Pier Francesco de' Medici affidò a Sandro Botticelli il compito di illustrare la Divina Commedia copiata su pergamena da Nicolaus Mangona.
Affascinato dalla bellezza misteriosa del testo di Dante, l'artista fiorentino dedicò numerosi anni a quest'opera monumentale.
I disegni, realizzati a punta di metallo su pergamena, ripresi a inchiostro e parzialmente colorati, confermano quanto il Botticelli fosse permeato della poesia dantesca. Così uno dei maggiori artisti del Rinascimento italiano mise tutto il suo genio al servizio del massimo capolavoro dell'umanesimo cristiano.

Art in Tuscany | La Divina Commedia illustrata da Sandro Botticelli (Dante Alighieri)
 

La Divina Commedia illustrata da Sandro Botticelli


Raffello Sanzio raffigura Dante nellla Disputa del sacramento, un affresco con base di 770 cm circa realizzato tra il 1508 ed il 1509.
È conservato nella Stanza della Segnatura, una delle quattro Stanze Vaticane, adibita nei tempi a biblioteca papale e tribunale ecclesiastico (Città del Vaticano).
Nella parte superiore sono raffigurati gli appartenenti alla "Chiesa Trionfante", ovvero santi ed apostoli, con al centro Gesù affiancato da Maria e da Giovanni Battista. In quella inferiore invece, abbiamo la "Chiesa militante", nella quale figurano appunto teologi, dottori e papi, ma anche filantropi e letterati; tra gli altri in questa incontriamo Savonarola, Dante, papa Giulio II, papa Sisto IV, Bramante ed altri.
Durante il Sacco di Roma del 1527, i Lanzichenecchi penetrarono dentro i Palazzi Papali e, in segno di spregio verso il papa, lasciarono numerose scritte e graffiti vandalici. Alcune di queste incisioni sono visibili, seppur controluce, nella parte inferiore dell'affresco. Dante è riconoscibile dall'alloro che porta in testa.
 

Raffaello, Disputa del Sacramento, affresco, Stanza della Segnatura, Palazzi Apostolici Vaticani, Città del Vaticano

Dante nella cultura moderna

La vita e l'opera di Dante hanno avuto un'influenza determinante sulla costruzione dell'identità italiana e in generale sulla cultura moderna.

Numerosissimi gli scrittori e gli intellettuali che hanno utilizzato e continuano ad utilizzare la Commedia e le altre opere dantesche come fonte di ispirazione tematica, linguistica, espressiva. Di seguito si cerca di offrire un panorama sintetico, organizzato per periodi e per autori, della presenza di Dante nella cultura moderna italiana e mondiale.

Henry Holiday, Dante incontra Beatrice al ponte Santa Trinita, 1883, National Museums and Galleries on Merseyside, Liverpool
 
   

Letteratura italiana del Novecento:
Nell'opera poetica di Eugenio Montale è frequente la ripresa di termini e formule del Dante lirico e del Dante della Commedia.
Il poeta Mario Luzi ha utilizzato più volte temi danteschi e in particolare 'purgatoriali', ad esempio nella lirica La notte lava la mente.
In Se questo è un uomo di Primo Levi si trovano numerosi riferimenti alla discesa dantesca agli Inferi; uno dei capitoli è inoltre strutturato come una ripresa del viaggio di Ulisse nel canto XXVI dell'Inferno.
Dante Alighieri appare spesso nella narrativa della scrittrice Laura Pariani nella figura di un “viaggiatore”: nel racconto “Que viene el coco” (1977) in una Milano del futuro; nel romanzo Milano è una selva oscura (2010) nella Milano del 1969; nella favola musicale Büs d'l'Orchéra Tour (2011), sul Lago d'Orta ai nostri giorni.

Letteratura straniera del Novecento:
Il poeta Thomas Stearns Eliot trae ispirazione da Dante e al v. 63 del poema La terra desolata traduce letteralmente i versi 56-57 del canto terzo dell'Inferno: «i' non averei creduto / che morte tanta n'avesse disfatta». Il passo descrive una mattina londinese nella quale la folla delle persone che vanno al lavoro è associata all'immagine dantesca degli ignavi. Sempre in The waste land, in What the thunder said cita esplicitamente il v. 148 del canto XXVI del Purgatorio:"Poi s'ascose nel fuoco che gli affina". Inoltre riporta i vs 61-66 del XXVII canto dell'Inferno ad introduzione della poesia The Love Song of J. Alfred Prufrock.
Nel racconto L'omnibus celeste lo scrittore inglese Edward Morgan Forster introduce un misterioso personaggio «giallastro, dalla mascella poderosa e dagli occhi infossati», che «si chiama Dan eccetera» che guida una strana vettura a cavalli, dentro la quale si trova la scritta «"Lasciate ogni baldanza voi ch'entrate"; al che il signor Bons borbottò un: satire intellettualoidi o che so io; e che baldanza era locuzione sbagliata, per speranza.»
Alla fine di un percorso in mondi abitati dai grandi personaggi del mito e della poesia, il ragazzo che compie il viaggio «avvertì sulla fronte un fresco contatto di foglie. Qualcuno lo aveva cinto di una corona.»[9]
Il poeta Ezra Pound fu un profondo conoscitore della poesia dantesca, che riprese in alcuni passaggi della sua opera principale, The Cantos.
Il poeta argentino Jorge Luis Borges, considerato da molti lo scrittore più importante del novecento, ammirò la Commedia di Dante fino a dire che è la migliore opera letteraria di tutti i tempi, l'apice delle letterature. Ha scritto Nove saggi danteschi e ha tenuto molte conferenze sul "sacro poema". Nella sua opera a volte traduce dei brani della Commedia che inserisce nelle sue poesie come nel "Poema conjetural" che riprende l'episodio di Bonconte in Purgatorio, V.
L'acclamato autore di fumetti giapponese Go Nagai ha tratto ispirazione dalla Commedia per alcune delle sue opere più famose: Mao Dante e Devilman. In seguito ha pubblicato La Divina Commedia, versione a fumetti del poema.


Museo Casa di Dante | www.museocasadidante.it/
The Museo - Casa di Dante is located in medieval Florence, in Via Santa Margherita, 1. In 1910, on commission of the respective Florentine authorities, the renowned architect Giuseppe Castelluci designed the reconstruction of a tower house from the 13th century to host a didactic museum devoted to Dante Alighieri.

Art in Tuscany | Sandro Botticelli | Illustrations for Dante's Divina Comedia
Sandro Botticelli began illustrating Dante’s Divine Comedy at the request of Lorenzo di Pier Francesco di Medici around 1490. His drawings let us share the Florentine artist’s fascination for this masterpiece of poetry and humanism from the imagination of Dante Alighieri.
Thoroughly steeped in Dante’s poems, Botticelli produced some very detailed illustrations on parchment on the back of the manuscript calligraphed by Nicolaus Mangona between 1481 and 1503. Work on parchment usually started with a design marked out with a stylet, corrected and reworked in metal point. Next, just the outlines and key lines of the basic design of the miniature were given an opaque greyish-brown primer with a brush, allowing the possibility of minor corrections. All these steps, including that of colouring-in, demonstrate a constant evolution towards increasingly perfect forms executed by Botticelli’s hand.

British Library Catalogue of Illuminated Manuscripts | Dante Alighieri | Divina Commedia, between 1444 and c. 1450 | Inferno and Purgatorio (ff. 1-128), and all historiated initials illuminated by Priamo della Quercia between 1442 and 1450 (previously attributed to Lorenzo Vecchietta; Paradiso (ff. 129-190v) illuminated by Giovanni di Paolo c. 1450.

Gardner, Edmund Garratt (1921). Dante, London, Pub. for the British academy by H. Milford, Oxford University Press.

Hede, Jesper. (2007). Reading Dante: The Pursuit of Meaning. Lanham, MD: Lexington Books.

Raffa, Guy P. (2009). The Complete Danteworlds: A Reader's Guide to the Divine Comedy. University of Chicago Press. ISBN 9780226702704.

Scott, John A. (1996). Dante's Political Purgatory, Philadelphia, University of Pennsylvania Press.

Seung, T. K. (1962). The Fragile Leaves of the Sibyl: Dante's Master Plan. Westminster, MD: Newman Press.

Toynbee, Paget (1898) A Dictionary of the Proper Names and Notable Matters in the Works of Dante. London, The Clarendon Press.

Whiting, Mary Bradford (1922). Dante the Man and the Poet. Cambridge, England. W. Heffer & Sons, ltd.

Stanford Encyclopedia of Philosophy: Biography, on his works and bibliography


The World of Dante
| multimedia, texts, maps, gallery, searchable database, music, teacher resources, timeline

The Princeton Dante Project | texts and multimedia

The Dartmouth Dante Project | searchable database of commentary

Società Dantesca Italiana (bilingual site) | manuscripts of works, images and text transcripts

Dante Alighieri, La divina commedia
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Works | Italian and Latin texts, concordances and frequency lists

Works by Dante Alighieri at Project Gutenberg

The World of Dante | www.worldofdante.org


Canto X, miniatura de Giovanni di Paolo.

El canto décimo del Paraíso de la La Divina Comedia de Dante Alighieri se desarrolla en el cielo del Sol, donde se encuentran los espíritus sabios. Transcurre la tarde del 13 de abril o del 30 de marzo de 1300.
« Canto X, nel quale santo Tommaso d’Aquino de l’ordine de’ Frati Predicatori parla nel cielo del Sole; e qui comincia la quarta parte. »
(Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)

 


[0] Piazza Santa Croce è una delle principali piazze del centro storico di Firenze ed è dominata dall'omonima basilica di Santa Croce. Analogamente a Piazza Santa Maria Novella, dove predicavano i domenicani, la Piazza di Santa Croce nacque circa un secolo dopo, per contenere le folle di fedeli che ascoltavano le prediche dei frati dalla maestosa chiesa che nel frattempo era nata in quella che era stata l'Isola dell'Arno e che venne allora bonificata.
[1] Harold Bloom, Il Canone occidentale. I libri e le scuole delle età (in inglese), tradotto da Francesco Saba Sardi, Milano, Bompiani, 1996. ISBN 88-452-2869-X
[2]«Durante, olim vocatus Dante»
[3] Boccaccio fu tra l'altro uno dei maggiori commentatori trecenteschi dell'opera di Dante, e copiò di suo pugno diversi manoscritti della Commedia e delle Rime dantesche.
[4] Cesare Marchi, Dante, Bergamo, RCS, 2006, p. 15
[5] Cesare Marchi, “Dante”, Bergamo, RCS, 2006, p. 14
[6] Sembra su diretto consiglio della moglie Caterina.
[7] Francesco Selmi, Dei Trattati morali di Albertano da Brescia, volgarizzamento inedito fatto nel 1268 da Andrea da Grosseto, Commissione per i testi di lingua, Bologna, Romagnoli, 1873, Osservazioni, p.389 (25*).
[8] L'edizione critica tradizionale di Barbi, 1921, conta 42 capitoli; quella di Gorni, 1996, ne rivede la suddivisione, contandone 31.
[9] E.M. Forster, I racconti, Garzanti, Milano,1988, pp.37-52
[10] http://it.wikiquote.org/wiki/Giovanni_Boccaccio
[11] Marzio Breda. «Riabilitare Dante, a Firenze sinistra spaccata». Corriere della Sera, 28 7 2008. URL consultato in data 2-11-2010.
[12]«Johnny Depp nelle mani di Dante». virgilio.it. URL consultato in data 2-11-2010.

 

[4] Giotto is painting the portrait of Dante on a chapel wall, while Beatrice moves below in a procession of women. Cimabue is on the right. Six lines of Italian verse from Dante's Purgatorio, followed by the two opening lines of a sonnet from the Vita Nuova, are inscribed below the drawing.

“Credete Cimabue nella pintura
Tener lo campo; ed ora ha Giotto il grido,
Sì che la fama di colui s'oscura.
Così ha tolto l'uno all'altro Guido
La gloria della lingua; e forse è nato
Chi l'uno e l'altro caccierà di nido.”

Vede perfettamente ogni salute
Chi la mia donna—tra le donne—vede.

According to Dante Gabriel Rossetti, the picture “illustrates a passage in the Purgatorio [XI. 94-99] where Dante speaks of Cimabue, Giotto, the two Guidos (Guinicelli and Cavalcanti. . .) and, by implication, himself. For the introduction of Beatrice, who with the other women. . .are making a procession through the church, I quote a passage from the Vita Nuova [XXVI: Sonnet: For certain he hath seen all perfectness]” (see Rossetti's letter to Thomas Woolner, 1 January 1853, Fredeman, Correspondence, 53. 1). Rossetti made a translation of the passage from Dante.
The picture was to have been the first in a Dantescan triptych. The other two panels of the triptych would have shown Dante as a Florentine magistrate sentencing Cavalcanti to exile, and Dante at the court of Can Grande della Scala.
A complex set of historical circumstances invest this picture. Giotto's original picture—a fresco celebrating the glory of Florence—included the figure of Dante holding a pomegranate. It was painted sometime between 1290-1300 on the altar wall of the Palace of the Podesta (later the Bargello) in Florence, but was subsequently covered with whitewash. It was rediscovered in 1840. Seymour Kirkup, one of the scholars who made the discovery, made a copy of the portrait of Dante and sent it to Gabriele Rossetti.
Giotto Painting the Portrait of Dante | www.rossettiarchive.org

 

 


Dante Gabriel Rossetti
Bibliografia

La Bibliografia sulla vita e sull'opera di Dante è sterminata; normalmente, il primo strumento di ricerca è l'Enciclopedia dantesca, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Roma, 1970-1978. Si possono utilizzare anche le risorse informatiche, in primo luogo la bibliografia consultabile sul sito della Società Dantesca Italiana. La bibliografia qui riportata è quindi espressamente parziale e non scientifica.

John Stewart Allitt: Dante il Pellegrino, Villa di Serio (BG), Edizioni Villadiseriane, 2011

Eugène Aroux, Dante hérétique, révolutionnaire et socialiste, révélations d'un catholique sur le Moyen-Âge (1854)

Erich Auerbach, Studi su Dante, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano 1963 (prima edizione Berlin-Leipzig 1929).

Michele Barbi, Problemi di critica dantesca. Prima serie (1893-1918), Sansoni, Firenze, 1934).

Saverio Bellomo, Filologia e critica dantesca, Brescia, La scuola, 2008.

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Alessandro Bausani, Il tema del viaggio celeste come legame fra Dante e la cultura orientale, in «Dantismo russo e cornice europea», II (1989), pp. 241–251.

Italo Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Garzanti, 1988, (p. 15 su Inf. XIV, 30; p. 16 su Par. III, 123; pp. 81–83 su Purg. XVII, 13-18, 25).

Gabriele Carletti, Dante Politico - La felicità terrena secondo il pontefice, il filosofo, l'imperatore. Pescara, 2006.

Carmelo Ciccia, Dante e Gioacchino da Fiore, Pellegrini, Cosenza, 1997.

Carmelo Ciccia, Allegorie e simboli nel Purgatorio e altri studi su Dante, Pellegrini, Cosenza, 2002, ISBN 88-8101-114-X.

Gianfranco Contini, Un' idea di Dante: saggi danteschi, Torino, Einaudi, 1970 (1), 2001.

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Gabriella Di Paola Dollorenzo, Lo stilo puntuto - Percorsi della Commedia di Dante, Edizioni Studium, 2005.

Claude Fauriel, Dante et les origines de la langue et de la littérature italiennes, cours fait à la Faculté des lettres de Paris, 1854

Étienne Gilson, Dante et la philosophie, Vrin (1939, 4ème éd. 2002)

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Louis Lallement, Dante, maître spirituel (3 tomes), Maisnie Trédaniel (1984, 1988, 1993).

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Kurt Leonhard: Dante. Mit Selbstzeugnissen und Bilddokumenten, Rowohlt, Reinbek 1998, (Rowohlts Monographien; Bd. 167) ISBN 3-499-50167-8

Francesco Mazzoni, Contributi di filologia dantesca. Prima serie, Sansoni, Firenze, 1966.

Francesco Mazzoni, Saggio di un nuovo commento alla «Divina Commedia». «Inferno» - Canti I-III, Sansoni, Firenze, 1967.

Bruno Nardi, Dante e la cultura medievale. Nuovi saggi di filosofia dantesca, Laterza, Bari, 1942.

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Gennaro Sasso, Dante. l'Imperatore e Aristotele, ISIME, Roma, 2002.

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Giuseppe Toffanin, Perché l’Umanesimo comincia con Dante, Bologna 1967.

Aldo Vallone, Storia della critica dantesca dal XIV al XX secolo, Vallardi-La Nuova Libraria, Padova, 1981.

Winfried Wehle: Dichtung über Dichtung. Dantes 'Vita Nuova': Die Aufhebung des Minnesangs im Epos, Fink, München 1986.


Works by Dante Alighieri | Wikipedia

Wikisource contiene opere originali di e su Dante Alighieri


 

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Florence,Firenze, Piazza della Repubblica
         
Il Rinascimento a Firenze

   
Mentre a Firenze era in atto un straordinario rinnovamento artistico, architettonico e letterario che passò alla storia come Rinascimento, le vicende politiche e militari non erano delle migliori. Nel 1424 la città aveva subito una dura sconfitta nella battaglia di Zagarolo e il peso della guerra, sommato alla febbrile attività edilizia per completare la straordinaria cupola del Duomo, rese necessaria l'imposizione di nuove tasse. Nel 1427 la Signoria impose il "catasto", il primo tentativo di equità fiscale della storia moderna, che tassava le famiglie in base alle stime della loro ricchezza, attingendo per la prima volta dove il denaro era veramente concentrato cioè nelle mani di quelle famiglie di mercanti e banchieri che padroneggiavano anche l'attività politica. I registri del catasto sono una straordinaria fotografia della Firenze dell'epoca. La famiglia più ricca era quella degli Strozzi, ma, molto più defilato, stava sorgendo un nuovo astro, quello dei Medici, venuti dalle terre del Mugello alla fine del XII secolo, e che già si erano guadagnati una solida fama di famiglia favorevole alle rivendicazioni popolari.

Il popolo, escluso dal governo, tentò varie volte di abbattere l'oligarchia, finché si alleò alla famiglia Medici. Nel 1433 Cosimo, capo della famiglia, fu esiliato; l'anno seguente però i suoi sostenitori ottennero il priorato e Cosimo fu richiamato a Firenze. Il suo ritorno segnò la fine del governo oligarchico e l'inizio della Signoria dei Medici.

Cosimo de' Medici (1414-1454) conservò le forme esteriori della repubblica, però ottenne dal popolo la "balìa degli squittìni", vale a dire il potere di decidere i nomi dei candidati agli uffici del Comune. In tal modo, pur essendo da un punto di vista formale nulla di più di un privato cittadino, Cosimo di fatto mantenne il governo della città. Stipulando alcune alleanze, Cosimo riuscì ad evitare che Milano o Venezia assumessero il predominio nell'Italia settentrionale ed a consolidare il dominio di Firenze in Toscana.

La Repubblica di Lucca fu l'unico Comune-Città-Stato che non si sottomise mai a Firenze, rimase sempre indipendente e sovrana. Accettò solo di annettersi al Granducato di Toscana nel 1800 e poi al Regno d'Italia.

Il primo periodo del dominio dei Medici finì con il ritorno di un governo repubblicano, influenzato dagli insegnamenti del radicale priore Domenicano Girolamo Savonarola (che fu giustiziato nel 1498 e che prima di morire lasciò un trattato sul governo di Firenze), nelle cui parole si ritrovano spesso argomenti che saranno oggetto di controversie religiose dei secoli seguenti.

Un altro personaggio di acutezza inusuale fu Niccolò Machiavelli, le cui indicazioni per il governo di Firenze da parte di una figura forte sono spesso lette come una legittimazione delle tortuosità e anche degli abusi dei politici. Il 16 maggio 1527 i fiorentini estromisero nuovamente i Medici - riportati al potere dagli spagnoli nel 1512 - e ristabilirono una repubblica

Rimessi al loro posto per la seconda volta nel 1530, con il sostegno sia dell'Imperatore sia del Papa, i Medici diventarono nel 1537 duchi ereditari di Firenze, e nel 1569 granduchi di Toscana, regnando per due secoli.

Pia dei Tolomei

Dante si trova adesso alle pendici della montagna del Purgatorio, e precisamente nel luogo dove dimorano le anime di quelli che furono per forza morti e peccatori infino a l’ultim’ora (vv. 52-53), cioè di coloro che sono morti di morte violenta e si sono pentiti dei loro peccati solo in punto di morte senza avere, quindi, la possibilità di espiarli in vita. Queste anime dovranno rimanere nel Purgatorio per tanti anni quanti sono stati gli anni della loro esistenza terrena, dopo di che potranno accedere al Paradiso Terrestre. Fra di loro Dante incontra tre personaggi, con cui si ferma a parlare: Iacopo del Cassero (nobiluomo di Fano e politico), Buonconte da Montefeltro (valoroso soldato nella famosa battaglia di Campaldino fra guelfi fiorentini e ghibellini aretini, 1289) e Pia dei Tolomei. La figura di questa donna, la cui vicenda terrena non può che suscitare pena e commozione, è appena accennata nelle brevi e gentili parole di lei, che si rivolge a Dante dicendo:

“ ‘Deh, quando tu sarai tornato al mondo e riposato de la lunga via’ seguitò il terzo spirito al secondo, ‘ricorditi di me che son la Pia.Siena mi fe’ disfecemi Maremma: salsi colui che inanellata pria,
disposando, m’avea con la sua gemma.’“

(Purgatorio, Canto V, vv. 130-136)

  “ ‘Deh, quando sarai tornato nel mondo dei vivi e ti sarai riposato dal lungo viaggio’ continuò la terza anima, dopo la seconda (= Buonconte), ‘ricordati di me, che sono la Pia. Nacqui a Siena e morii in Maremma, lo sa bene colui che, sposandomi, mi aveva donato il suo anello.’ “    
Le parole di Pia sono gentili, allusive, concise; lei non si scaglia contro il suo destino né contro colui che è stato l’artefice della sua morte (il marito Nello) e non si dilunga sui particolari della sua storia, come invece fanno gli altri due spiriti con cui Dante parla (Iacopo e Buonconte).

La vicenda della Pia, ricordata anche dall’Aretino, è intrisa di verità e leggenda: questa nobildonna senese aveva (secondo alcuni) sposato in prime nozze Baldo de’ Tolomei, da cui aveva avuto due figli, Andrea e Balduccio. Rimasta vedova nel 1290, Pia si risposa con Nello dei Pannocchieschi, il quale, però, forse perché invaghito di un’altra donna (Margherita degli Aldobrandeschi), forse per punire un presunto tradimento di Pia, la fa rinchiudere nel Castello della Pietra, nella Maremma toscana, dove poi Pia sarà uccisa per volere del marito nel 1295. Alcune versioni della storia descrivono la Pia come una vittima innocente, altre raccontano invece un effettivo adulterio da lei commesso (a cui comunque Dante non fa cenno esplicitamente). In ogni caso, questa figura ha un potere suggestivo molto grande, soprattutto nei luoghi dove la sua terribile e romantica vicenda si svolse; ancora oggi hanno molto successo le rappresentazioni teatrali ispirate alla storia di Pia de’ Tolomei, come quella realizzata dal Comune di Castellina in Chianti (Siena) nell’estate del 2000.

Lungo la strada vecchia che da Siena porta in Maremma, c’è il ponte della Pia, un vecchio e stretto ponticello in pietra che si dice portasse al castello dove la donna morì; non si può passare di là senza voltarsi e pensare al dramma di questa nobildonna senese, che Dante ricorda con tratti così soavi.

[Fonte: Fiora Biagi, Pia dei Tolomei ]


Podere Santa Pia, con una vista indimenticabile sulla Maremma Toscana, è situata in ottima posizione e gode dello splendido panorama sulla Maremma, fino al mare e l'isola Monte Christo.

 

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