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Il Cristo è ancora inclinato dolorosamente nella posa patetica del Christus patiens, però il corpo è ancora più longilineo e sinuoso. Gli scomparti, come già nell'opera anteriore, non contengono figurazioni ma uno sfondo che ricorda un drappeggio, anche perché quello di sinistra è interamente occupato dal corpo di Cristo. Nei terminali sono dipinti la Vergine e San Giovanni a mezzobusto. La cimasa reca il cartiglio "INRI", mentre il soppedaneo (in basso) non è decorato.
Stile
Lo stile pittorico, rispetto all'opera aretina, è molto migliorato, tanto da suggerire che sia stato eseguito un decennio dopo: la resa pittorica delicatamente sfumata a rappresentare una rivoluzione, con un naturalismo commovente (forse ispirato anche alle opere di Nicola Pisano) e privo di quelle dure pennellate grafiche che si riscontrano nel crocifisso aretino. La luce adesso è calcolata e modella con il chiaroscuro un volume realistico: i chiari colori dell'addome, girato verso l'ipotetica fonte di luce, non sono gli stessi del costato e delle spalle, sapientemente rappresentati come illuminati con un angolo di luce diverso. Le ombre, appena accennate su pieghe profonde come quelle dei gomiti, sono più scure nei solchi tra la testa e la spalla, sul fianco, tra le gambe.
Un vero esempio di virtuosismo è poi la resa del morbido panneggio, delicatamente trasparente e dalla consistenza setosa.
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Cimabue, Crocifisso, 1280, tempera su tavola, 390 cm, basilica di Santa Croce, Firenze
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Madonna |
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San Giovanni |
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[1] Biografia di Cimabue
(1240 ca - 1301/1302) "Fu mandato, acciò si esercitasse nelle lettere, in S. Maria Novella a un maestro suo parente (.) ma Cimabue in cambio d'attendere alle lettere, consumava tutto il giorno, come quello che a ciò si sentiva tirato dalla natura, in dipingere, in su' libri et altri fogli (.). Perché essendo chiamati in Firenze, da chi allora governava la città, alcuni pittori di Grecia, non per altro, che per rimettere in Firenze la pittura più tosto perduta che smarrita, cominciarono, fra l'altre opere tolte a far nella città, la cappella de' Gondi, di cui oggi le volte e le facciate sono poco meno che consumate dal tempo, come si può vedere in S. Maria Novella allato alla principale cappella, dove ell'é posta. Onde Cimabue, cominciato a dar principio a questa arte che gli piaceva, fuggendosi spesso dalla scuola, stava tutto il giorno a vedere lavorare que' maestri; di maniera che, giudicato dal padre e da quei pittori in modo atto alla pittura, che si poteva da lui sperare, attendendo a quella professione, onorata riuscita; con non sua piccola soddisfazione fu da detto suo padre acconciò con esso loro; là dove di continuo esercitandosi, l'aiutò in poco tempo talmente la natura, che passò di gran lunga, sì nel disegno come nel colorire, la maniera de' maestri che gli insegnavano". Giorgio Vasari.
Sono poche le notizie certe sulla vita di Cenni di Pepo, detto Cimabue. Negli anni che seguirono la sua morte (probabilmente nel 1301), la sua fama di pittore - nonché di maestro di Giotto - continuò immutata.
L'idea favolosa e mitica che ne diede il Vasari non gode ormai di molta attendibilità (con questo, però, non se ne nega la grandezza), seppure si è sempre dato credito all'episodio dell'inizio di una smodata passione per la pittura che lo portasse a seguire i greci in Santa Maria Novella. Alla fine del Trecento Filippo Villani lo descriveva come il pittore che "per primo richiamò alla somiglianza della natura l'arte della pittura". Di Cimabue si ricorda, sempre, la terzina dantesca che lo lega al discepolo che lo superò in fama e bravura: Giotto. "Credette Cimabue ne la pittura, tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, sì che la fama di colui è scura": così Dante, nel "Purgatorio", descrive la situazione del fermento artistico a lui contemporaneo. La data di nascita di Cenni di Pepo (Bencivieni di Giuseppe) si identifica generalmente intorno al 1240, quasi certamente a Firenze. Egli fu soprannominato Cimabue, probabilmente a causa dell'eccessivo orgoglio. In gioventù, fu a bottega presso Coppo di Marcovaldo, uno dei più celebri ed avanzati pittori fiorentini del tempo. Il Crocifisso della chiesa di San Domenico ad Arezzo, databile al 1265, è il suo primo lavoro pervenutoci. Poche altre notizie sulla sua vita risultano da atti pubblici. Nel 1272, fu chiamato a Roma per testimoniare in una controversia relativa all'ordine femminile di San Damiano, che in quell'occasione venne assoggettato alla regola di San Agostino. Negli anni tra il 1280 ed il 1290, Cimabue attese alla decorazione della Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi (a cui parteciparono Duccio di Buoninsegna e Giotto), sua più imponente opera. Durante i dieci anni di attività, il pittore dipinse la Maestà a S. Trinità a Firenze. Nel 1301 documenti attestano la sua presenza a Pisa, dove dipinse una Maestà per l'ospedale di S. Chiara - opera oggi perduta - e il grandioso mosaico di San Giovanni Evangelista nel Duomo pisano, attestato da alcuni documenti di pagamento. Morì, probabilmente, tra il novembre del 1301 e il marzo del 1302. [Fonte: Il Crocifisso di San Domenico ad Arezzo | www.italica.rai.it
[2] La chiesa di Santa Croce a Firenze è stata costruita a partire dal 1294 secondo il progetto di Arnolfo di Cambio ma in realtà è stata consacrata nel 1443 alla presenza di Eugenio IV. la chiesa di Santa Croce si è via via arricchita con le donazioni delle richhe famiglie fiorentine alle quali poi veniva concessa la sepoltura all'interno delle cappelle.
All'interno della chiesa troviamo sepolture di artisti di altissimo livello e di ogni ramo del sapere. Solo per citare qualche nome possiamo ricordare Machiavelli, Alfieri(tomba di Canova, 1810), Michelangelo (tomba del Vasari, 1570), il sepolcro di Galileo Galilei (tomba di Vincenzo Viviani, 1737).
La facciata è di marmo colorato di carrara ed è stata disegnata da Cronaca (1857-63), mentre il campanile della chiesa è di Baccani (1965).
L'interno è formato da 3 navate, le pareti e le vetrate sono ornate con affreschi raffiguranti le "Storie di San Francesco" opera di Giotto e dei suoi allievi. Anche Donatello volle lasciare all'interno della chiesa una testimonianza del suo passaggio scolpendo il bellissimo crocifisso (1425) e l'annunciazione (1430-1435). Accanto alla sacrestia si trova la cappella del noviziato costruita da Michelozzo (1434-1445) e decorata da Andrea della Robbia; nel chiostro dei morti si trova la cappella dei pazzi progettata dal Brunelleschi. Al Brunelleschi è da attribuirsi anche il progetto del Chiostro Grande poi costruito da Bernardo Rossellino. Sono inoltre presenti i monumenti funebri di Bernardo Rossellino (dedicato a Leonardo Bruni, cancelliere della Repubblica) e di Desiderio da Settignano.
La chiesa e le sue tombe furono cantate da Ugo Foscolo nell'opera "I Sepolcri".
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Cimabue, Crocifisso, (dettaglio), 1280,
basilica di Santa Croce, Firenze
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Bibliografia
Eugenio Battisti, Cimabue, Milano, Istituto Editoriale Italiano, 1963.
Enio Sindona, Cimabue e il momento figurativo pregiottesco, Rizzoli Editore, Milano, 1975.
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The Kunsthistorisches Institut in Florence | L'alluvione del 4 novembre 1966 | Santa Croce | Cimabue’s Crucifix
La basilica di Santa Croce (1295-1385) con i suoi celebri cicli di affreschi, il crocifisso di Cimabue e i monumenti sepolcrali di rinomati artisti italiani è considerata una delle più insigni chiese di Firenze. A causa della sua vicinanza all’Arno la chiesa francescana fu duramente colpita dalla massa d’acqua dell’alluvione. In mezzo al fango e all’immondizia s’impone il monumento del poeta Dante.
Il simbolo delle tragiche conseguenze dell’alluvione è diventato la quasi completa distruzione del gigantesco crocifisso di Cimabue. La croce, dipinta a tempera su legno (intorno al 1272) da uno dei più considerevoli pittori del Duecento, aveva perso gran parte del suo strato pittorico. Come primo provvedimento l’opera d’arte fu trasferita dall’ex refettorio di Santa Croce nella Limonaia del Giardino di Boboli. Nel 1976 il crocifisso fu sottoposto ad un radicale restauro, per quanto fu possibile conservare solamente i resti dello strato pittorico.
l’Istituto svolge anche un ruolo importante nella documentazione dell’evento: nel 1975 la Fototeca ha infatti acquisito il Fondo Bazzechi, dal quale proviene la maggior parte delle circa 80 foto mostrate nell’esposizione qui presentata, che furono scattate dal fotografo Ivo Bazzechi nei drammatici giorni dell'alluvione.
Il fotografo Ivo Bazzechi, dal quale proviene una gran parte delle foto qui esposte, ha immortalato le sue impressioni proprio durante l’alluvione. Le fotografie rendono chiara la situazione durante e dopo la catastrofe, quando furono arrecati enormi danni a strade, piazze, edifici e opere d’arte. La principale pretesa della serie di foto qui presentata è quella di mostrare soprattutto i danneggiamenti e la distruzione di opere d’arte come nelle chiese di Santa Maria Novella e Santa Croce oppure di singole opere come per esempio il crocifisso di Cimabue, distrutto quasi completamente.
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Interiore della Basilica di Santa Croce,
6 Nov 1966
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Il Battistero e la Loggia del Bigallo (fotografo Bazzechi) |
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[L’opera d’arte fu trasportata nella Limonaia del Giradino di Boboli. (fotografo Bazzechi)] |
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Il Battistero di San Giovanni (XI-XII sec.) sulla Piazza del Duomo è stato così violentemente colpito dalla massa d'acqua che le porte bronzee si sono spezzate. La Porta del Paradiso (1452) di Lorenzo Ghiberti per la porta nord, perse cinque delle sue formelle in bronzo dorato, che soltanto il giorno seguente fu possibile recuperare dal fango. Da quando ne è iniziato il restauro, si trovano in parte al Museo dell’Opera del Duomo, in parte all'Opificio delle Pietre Dure. Grate protettive poste davanti ai battenti delle porte impedirono che venissero trascinate via altre due formelle della porta sud di Andrea Pisano (1330), raffiguranti la vita del Battista. |
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La distruzione quasi totale dell'enorme Crocifisso di Cimabue è divenuta il simbolo più impressionante dei devastanti effetti prodotti dall'alluvione. La croce, dipinta a tempera su tavola (intorno al 1272) da uno dei pittori più significativi del Duecento, aveva perduto gran parte del suo strato pittorico. Il primo provvedimento fu di trasportare l'opera dall'ex refettorio di Santa Croce alla Limonaia dei Giardini di Boboli. Nel 1976 la croce è stata sottoposta a un radicale intervento di restauro che ha permesso di conservare almeno ciò che è rimasto della pellicola pittorica. |
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