Non fece mai la natura un burlevole e con qualche grazia garbato, ch’ancora non fosse a caso e da straccurataggine accompagnato nel viver suo. E nientedimeno si truovano alle volte costoro sí diligenti, per la dolcezza dell’amicizia, nelle comodità di coloro che amano, che per fare i fatti loro il piú delle volte dimenticano se medesimi. Onde, se costoro usassero la astuzia ch’è lor data dal cielo, si leverebbono dattorno quella necessità, che nasce nelle vecchiezze loro e negli infortuni ove si veggono incorrere il piú delle volte, e serbandosi il capitale di qualcosa delle fatica della giovanezza, diventerebbe loro comodità utilissima e necessaria, in quel tempo proprio ove sono tutte le miserie e tutte le incomodità. E certamente chi ciò fa, s’assicura benissimo per la vecchiaia e vive con minor sospetto e con maggior contentezza. Questo non seppe fare Buonamico detto Buffalmacco, pittor fiorentino, celebrato dalla lingua di messer Giovanni Boccaccio nel suo Decamerone. Fu costui, come si sa, carissimo compagno di Bruno, e di Calandrino pittori, e dotato nella pittura di buon giudicio. Lavorò nelle monache fuor della porta, a Faenza (luogo oggi ruinato per farvi il castello) tutta la chiesa di sua mano. E per essere egli figura astratta nel vestire come nel vivere, rare volte portava il mantello e ’l cappuccio. Onde cominciando l’opera, e le monache per la turata che fatto aveva Buonamico spesso guatando, non si contentavano di vederlo in farsetto. Pure, avendo il castaldo lor detto che egli era maestro molto valente di quel mestiero, se ne stettero tacite alcuni dí; ma di nuovo rivedendolo pareva loro un garzonaccio da pestar colori. Perché fu Buonamico dalla badessa richiesto che il maestro arebbono voluto veder lavorare e non lui; onde Buonamico, come uomo faceto e di piacevole pratica, promise loro che, tosto che il maestro ci fosse stato, gliele arebbe fatto intendere, accorgendosi della diffidenza che le monache avevano dell’opera sua. Preso dunque un desco, e postovene sopra un altro, mise all’ultimo in cima una brocca d’acqua, che serviva al lavoro che faceva; e dove era la bocca di essa pose il cappuccio in su ’l manico, e co ’l mantello il mezzo del corpo coperse, affibbiatolo intorno a i deschi; e nel boccuccio dove l’acqua si trae, pose un pennello. Onde da una banda cansando la turata della tela, le monache vedevano il maestro dell’opera, che pareva che dipignesse. Ma essendo elle venute in desiderio di veder l’opera ch’e’ faceva, e passati piú di quindici giorni che Buonamico non c’era capitato, elleno una notte, pensando che il maestro non ci fosse, come curiose andarono a vedere la pittura di Buonamico e ritrovarono la loro semplicità esser mutata in goffezza. Perché, scornate dalla burla, fecero cercare al castaldo di Buonamico, il quale con grandissime risa si ricondusse al lavoro, dichiarando alle monache la differenza ch’era da gli uomini alle brocche. Ora quivi in pochi giorni lavorando finí una storia, di ch’elle vedutola si contentaron molto, a una cosa sola apponendosi: che le figure parevano loro troppo smorticce. Per il che Buonamico, il quale aveva inteso che la badessa aveva una bonissima vernaccia, che per lo sacrificio della messa serbava, le disse esserci rimedio ad acconciarle; che avendo vernaccia, la qual buona fusse, stemperandola ne’ colori e toccandone le gote e ’l corpo delle figure, le farebbe tornare il colore piú vivace che non avevano; di che ne fu fornito mentre che durò il lavoro, et egli fece le figure piú rosse co i colori, et a sé et a gli amici suoi il colore medesimamente mantenne. Finito il lavoro delle monache, dipinse nella Badia di Settimo alcune istorie di S. Iacopo a’ monaci di quel luogo, a i quali fece infinitissime burle e molte piacevolezze. Lavorò a fresco in Bologna in S. Petronio la capella de’ Bolognini, con molte istorie e gran numero di figure, dove tanto satisfece a quel gentiluomo che lo faceva lavorare, che oltre al premio che non fu piccolo, ne acquistò benivolenzia et amore perpetuo. Appresso fu da molti signori per Italia chiamato per la sua garbata maniera e per far burle e per trattener cicalando gli amici. Fece ancora in San Paolo a Ripa d’Arno in Pisa certi lavori, et in Campo Santo alcune storie dove comincia il principio del mondo. Fu costui sempre familiare e domestico di Maso del Saggio, e la sua bottega era del continuo piena di cittadini, tirati dalle costui piacevolezze, secondo che si vede nella novella di maestro Simone, quando lo mandarono in corso, e similmente nelle giostre fatte a Calandrino.
Dicesi che, avendo egli promesso in Valdimarina a un contadino lavorare un San Cristofano, ne fece fare d’accordo con esso lui in Fiorenza uno istrumento rogato, che lo dovesse fare per prezzo d’otto ducati, e la figura doveva essere dodici braccia. Arrivato Buonamico a la chiesa per farlo, trovò che ella non era piú che nove braccia in tutta l’altezza, dove né di fuori né di dentro potendo accomodarlo, si risolse poi che non ci poteva capir ritto, di farlo dentro in chiesa a giacere, e cosí lo fece. Onde il contadino si dolse di Buonamico in giudicio all’Arte de gli Speziali, ma per lo contratto che avevano fatto insieme fu giudicato ch’egli avesse il torto. A Calcinaia ancora dipinse una Nostra Donna a fresco co ’l Figliolo in braccio, la quale finita, non potendo trarre i danari di mano al contadino, vedendosi trattenere et alla fine uccellare, deliberò valersene. Et una mattina, partitosi da Fiorenza et a Calcinaia inviatosi, convertí il fanciullo che la Vergine aveva in collo, con tinta senza colla o tempera, in uno orsacchino. Dove il contadino, pressoché disperato, ritornando per Buonamico della prima opera fatta e della seconda ch’a fare aveva, lo pagò interamente. Et egli, con una spugna bagnata, lavò la tinta che vi aveva messa di sopra, et allegro, co’ meritati danari, se ne ritornò a Fiorenza. Fece infinite altre burle Buonamico, le quali lungo sarebbe e fuor di proposito a raccontare. Basta che le figure sue furono stimate bonissime e da quegli che dopo lui sono stati sempre avute in pregio grandissimo. Finí il corso della vita sua nell’età d’anni LXVIII, e dalla Misericordia sovenuto in Santa Maria Nuova di Fiorenza ordinariamente fu sepolto nelle ossa l’anno MCCCXL. Dolse veramente a molti la perdita di Buonamico, il quale con le piacevolezze sue trattenne del continuo i suoi cittadini e gli artefici, facendosi conoscere non meno mirabile nell’arte che faceto ne i costumi. Onde dopo la sua morte fu alcuno che cosí scrisse di lui:
VT MANIBVS NEMO MELIVS FORMARE FIGVRAS
SIC POTERAT NEMO VEL MELIORA LOQVI. |
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