Coloro che con qualche macchia nascono al mondo (qualunche ella si sia) lasciatagli da i suoi maggiori, e quella cuoprono con la modestia del vivere e con la gratitudine delle parole, e con fatti egregi il piú che sanno in tutte l’azzioni et in tutte l’opere loro, non solamente meritano lode de la prima virtú, ma infiniti premi de le seconde azzioni; conoscendosi apertamente che il vincolo della virtú, che è infusa in un animo, che sia in quella raro et eccellente, è il maggiore ornamento che sia e che si possa avere, e la cortesia fra l’altre virtú, il piú delle volte è quella che taglia, spezza e rompe gli animi indurati nelle invidie e nelle maledicenzie de gli uomini. Questa sola virtú rende molli e facili i pensieri ignoranti; perché si vede che chi continua i mezzi del non dar menda ad altrui et in tutto il suo procedere si ingegna sempre giovare a ciascuno, costui sicuramente si tira a la sepoltura prigione il mondo malgrado suo e trionfa de la malizia e dell’invidie de gli uomini, come fece Filippo. Il quale, continuando i modi soprascritti, fu pianto alla morte non solo da chi ’l conobbe, ma da molt’altri, anzi da tutto Firenza, perché veramente coloro che sentono solamente ragionare delle sue virtú, se ben non lo conobbero altrimente vivendo si dolgono ancora del suo fine. Fu Filippo figliuolo di fra’ Filippo del Carmino; e seguitando nella pittura le vestigie del padre morto mentre che egli era ancor giovinetto, fu tenuto in governo et amaestrato da Sandro di Botticello; et avendolo fra’ Filippo alla morte sua raccomandato a fra’ Diamante, et a lui datolo, che i modi dell’arte buoni gli insegnasse, egli fu di tanto ingegno e di sí copiosa invenzione nella pittura, e tanto bizzarro e nuovo ne’ suoi ornamenti, che fu il primo il quale a’ moderni mostrasse il nuovo modo di variare abiti et abbellisse ornatamente con antichi abiti e veste soccinte le figure che e’ faceva. Fu primo ancora a dar luce alle grottesche, che somiglino l’antico; e le mise in opera di terretta e colorite in fregi, con piú disegno e grazia che gli inanzi a lui non avevano fatto. Maravigliosa cosa era a vedere gli strani capricci che nascevano nel suo fare, atteso che e’ non lavorò mai opera che delle cose antiche di Roma con gran studio non si servisse, invasi, calzari, trofei, bandiere, cimieri et ornamenti di tempii, abbigliamenti da dosso a figure; onde grandissimo e sempiterno obligo se gli debbe avere, sendo egli stato quello che ha dato principio alla bellezza et all’ornamento di questa arte, la quale con i destri modi suoi è venuta a quella perfezzione dove ella si truova al presente.
Nella sua prima gioventú diede fine alla cappella de’ Brancacci nel Carmino di Fiorenza, cominciata da Masolino e non finita da Masaccio per la morte sua; e cosí Filippo di sua mano la ridusse a perfezzione insieme con un resto della storia, quando San Piero e San Paolo risuscitano il nipote dello imperatore. E quando San Paolo visita San Pietro in prigione, cosí tutta la disputa di Simon Mago e di San Pietro dinanzi a Nerone, e la sua crocifissione. Et in questa storia ritrasse sé et il Pollaiuolo, per la quale gloria e fama grandissima apportò nella sua gioventú. Fece poi a tempera alle Campora, alla cappella di Francesco del Pugliese, una tavola di San Bernardo al quale apparisce la Nostra Donna con angeli, et esso è in un bosco che scrive; la quale è tenuta mirabile in alcune cose, come in sassi, libri, erbe e simili figure ch’egli drento vi fece, oltra che vi ritrasse Francesco di naturale che non li manca se non la parola; questa tavola fu levata per l’assedio di Fiorenza di quella cappella e messa in Fiorenza nella Badia in sagrestia per conservarla. Et a’ frati di Santo Spirito lavorò una tavola, dentrovi la Nostra Donna, San Martino e San Niccolò per Tanai de’ Nerli; et ancora in San Brancazio alla cappella de’ Rucellai una tavola, et in San Ruffello una d’un Crocifisso e due figure in campo d’oro. In San Francesco nel poggio di San Miniato, dinanzi alla sagrestia, fece uno Iddio Padre con molti fanciulli, e nel Palco a’ frati del Zoccolo fuor di Prato, castello X miglia lontano a Fiorenza, lavorò un’altra tavola; e dentro nella terra nella udienza de’ Priori di Prato fece una tavolina con tre figure molto lodata: Santo Stefano, San Giovanni Battista e la Madonna. In sul canto al Mercatale, vicino a certe sue case, fece dirimpetto alle monache di Santa Margherita un tabernacolo in fresco molto bello e lodato per esservi una Nostra Donna, e bellissima e modestissima, con un coro di Serafini in campo di splendore: il che sofisticamente dimostra che e’ cercava penetrare con lo ingegno nelle cose del Cielo. Et in questo lavoro medesimo dimostrò arte e bella advertenzia in un serpente che è sotto a Santa Margherita, tanto strano e sí pauroso, che e’ fa conoscere dove abita il veleno, il fuoco e la morte; et il resto di tutta l’opera è colorito con tanta freschezza e vivacità, che e’ merita di esser lodato infinitamente; et in Lucca in San Michele una tavola similmente con tre figure. In San Ponziano ne’ frati di Monte Oliveto v’è una tavola in una cappella di Santo Antonio, che ha in mezzo una nicchia, dentrovi un Santo Antonio bellissimo di rilievo, di mano d’Andrea Sansovino, cosa prontissima e bellissima. Fu ricercato con grande instanza di andare in Ungheria per il Re Mattia, e ricusò d’andarvi, ma fece bene due tavole per esso in Fiorenza, che a quel re furono mandate, cosa lodata e degna di Filippo; nelle quali mostrò quanto valeva in quell’arte. Mandò suoi lavori a Genova, e fece a Bologna in San Domenico, allato alla cappella dello altar maggiore a man sinistra, una tavola di San Sebastiano, cosa molto bella e tenuta certo eccellente. A Tanai de’ Nerli fece una altra tavola a San Salvatore fuor di Fiorenza. Et a Pietro del Pugliese amico suo lavorò una storia di figure picciole, condotte con tanta arte e diligenza, che volendone un altro cittadino una simile, gliela denegò, dicendo essere impossibile di farla. Ora avendo intrinseca amicizia con Lorenzo Vecchio de’ Medici, fu da lui strettamente pregato per dovere fare una opra grandissima a Roma per Olivieri Caraffa Cardinale napolitano, amico di Lorenzo; e cosí per commessione di quello se ne andò a Roma a servire il detto signore, passando prima da Spoleto, come volse Lorenzo detto, per fare una sepoltura di marmo a fra’ Filippo suo padre, chiesto già da Lorenzo a gli Spoletini, ma non ottenuto, come altrove abbiamo narrato. Disegnò dunque Filippo la sepoltura con bel garbo e con buona grazia, e Lorenzo in su quel disegno suntuosamente la fece fare. Appresso condottosi a Roma, fece al cardinale nella chiesa della Minerva una cappella, dove sono istorie di San Tomaso d’Aquino molto belle et alcune poesie cristiane molto lodate, e da lui che ebbe in questo la natura sempre propizia, tutte trovate.
Ritornò a Fiorenza, e cominciò in Santa Maria Novella la cappella a Filippo Strozzi, la quale con molto amore avendo avviata, quella prese a finire con sua comodità; e fatto il cielo, et a Roma ritornato, fece oltra la cappella della Minerva, la sepoltura del cardinale, ch’è di stucchi e di gessi in uno spartimento di una cappellina allato a quella, et altre figure, delle quali Rafaellin del Garbo suo discepolo molte ne lavorò. Fu stimata detta cappella per maestro Lanzilago Padovano e per Antonio detto Antoniasso Romano, pittori de i migliori che fossero allora in Roma, due mila ducati d’oro senza le spese de gli azzurri e de’ garzoni. Per il che Filippo, riscosso i danari e garzoni e le spese pagate, finita l’opera tornatosi a Fiorenza, finí la cappella de gli Strozzi, la quale da lui fu tanto ben condotta, e con arte e con disegno, che fa maravigliare ogni artefice a vedere la varietà delle bizzarrie, armati, tempii, vasi, cimieri, armadure, trofei, aste, bandiere, abiti, calzari, acconciature di capo, veste sacerdotali, con tanto bel modo condotte, che merita grandissima comendazione. Sono le storie di detta opera la resurrezzione di Drusiana per San Giovanni Evangelista, dove mirabilmente si vede espressa la maraviglia de’ circunstanti nel vedere suscitare una morta con un semplice segno di croce, e massimamente in un sacerdote o filosofo con un vaso in mano, vestito alla antica, il quale attonito di tal cosa, attentissimamente considera donde ciò sia. In questa medesima istoria, fra molte donne diversamente abbigliate, si vede un putto che, impaurito d’un cagnolino spagnuolo pezzato di rosso, che lo ha preso co’ denti per una fascia, ricorrendo intorno a la madre e fra’ panni di quella occultandosi, non dimostra manco timore o spavento del morso, che la madre tra quelle donne e maraviglia et orrore de la resurressione di Drusiana. Appresso, il bollire nello olio di esso santo, dove si vede la collera del giudice che comanda che il fuoco si accresca, et i reverberi delle fiamme nel viso di chi soffia, e molto belle attitudini in tutte le figure ad imitazione dello antico. Nella altra faccia è San Filippo nel tempio di Marte, che fa uscire il serpente di sotto l’altare, il quale amazza col puzzo il figliuolo del re. Perché Filippo fece una buca in certe scale et un sasso che è aperto, sí simile la rottura de ’l sasso, che una sera un de’ garzoni volendo riporre una cosa che non fosse veduta, sendo picchiata la porta, ivi corse per appiatarvela dentro, e ne restò ingannato. Si dimostrò l’arte di Filippo ancora in un serpe talmente, che il veleno, il fetore e ’l fuoco pare di gran lunga piú naturale che dipinto. E molto è lodata la invenzione dell’altra istoria, nel suo essere crocifisso. Perché per quanto e’ se ne conosce, egli imagina che giú in terra e’ fusse disteso in su l’arbero della croce, e poi cosí tutto insieme, alzato e tirato in aria per via di fune e di puntegli. Sonvi grottesche infinite e cose lavorate di chiaro scuro molto simili al marmo, e fatte stranamente con invenzione e disegno garbatissimo. Fece a’ frati Scopetini a San Donato fuor di Fiorenza, detto Scopetto, al presente ruinato, una tavola de i Magi che offeriscono a Cristo, cosa molto lodata, e fra le cose sue finita con molta diligenza. Quivi sono Mori, Indiani, abiti stranamente acconci et una capanna bizzarrissima. Fece in palazzo della Signoria la tavola della sala, dove stavano gli Otto di pratica; et il disegno di quella grande, con ornamento nella sala del Consiglio, la quale per la interposizione della morte, non cominciò se bene l’ornamento fu intagliato. Fece ne’ frati di Badia un S. Girolamo in chiesa, e per tutte le case di quei cittadini sono delle sue opere. Cominciò a’ frati de’ Servi la tavola dello altar maggiore, che è un Deposto di croce; e finí le figure dal mezzo in su, che depongono Cristo, ma sopragiugnendoli un crudelissimo male di febbre, non fu rimedio che la morte acerbissima nell’età di XLV anni, con una fiera strettezza di gola, da’ vulgari detta spramanzia, alla patria sua non lo togliesse. Onde essendo egli stato sempre domestico, affabile, liberale e gentile, fu pianto da tutti quegli che lo avevano conosciuto, e molto piú da’ cittadini che si servivano di lui nelle mascherate; i quali solevano dire di non aver mai visto cosa che piú aggradasse loro che le invenzioni di Filippo. Restò la fama di questo gentil maestro talmente ne i cuori di quegli che l’avevano praticato, che meritò coprire con la grazia della sua virtú l’infamia della natività sua. E sempre visse in grandezza et in riputazione. Et in Fiorenza nella chiesa di S. Michele Bisdomini, gli fu da’ suoi figliuoli dato onorato sepolcro, et il giorno XIII di aprile MDV mentre si portava a sepellire si serrarono tutte le botteghe nella via de’ Servi, come ne’ dolori universali si suol fare il piú delle volte. Né ci è mancato di poi chi lo abbia onorato con questo epitaffio:
MORTO È IL DISEGNO OR CHE FILIPPO PARTE
DA NOI: STRACCIATI IL CRIN FLORA, PIANGI ARNO;
NON LAVORAR PITTVRA, TV FAI INDARNO
CHE IL STIL HAI PERSO, E L’ENVENZIONE, E L’ARTE.
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Filippino Lippi (attr.), 1485 circa, affresco staccato, Galleria degli Uffizi, Firenze
Disputa di Simon Mago e crocifissione di san Pietro, (dettaglio, autoritratto), 1424-26 e 1489-91, affresco, Cappella Brancacci, Santa Maria del Carmine, Firenze
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