Quanto possa il premio nella virtú, colui che opera virtuosamente lo sa; che non sente il freddo, gli incomodi, i disagi, né lo stento, solo per venire allo effetto dello esser premiato, et ha tanta forza l’ambizione nel vedersi onorare e guiderdonare, che la virtú si fa ogni giorno piú vaga, piú lucida, piú chiara e piú divina. Onde chi senza quella si muove ad alzarsi in buon credito fra gli uomini, indarno consuma se medesimo nelle fatiche e si empie d’amaritudine l’animo e la mente senza far frutto. Perché vedendo premiare piú di sé chi nol merita, cadono nella mente e nello animo pensieri tanto maligni, che si scorda in una ora quel che in molti anni e con molte fatiche aveva da ’l cielo e dalla natura conseguito. Per il che si dà in preda il valore alla desperazione, di maniera che deviano da ’l primo essere e vanno in abbandono i principii buoni cominciati altamente. Onde viene che gli spiriti eccellenti s’attoscano, e non producono i frutti che tengono vivi i nomi dopo la morte. Laonde veggiamo quello che avvenne nella remunerazione e nella sorte in Andrea Mantegna, il quale sendo stimato, onorato e premiato, non fu maraviglia se la virtú che aveva sempre andò crescendo. E fu grandissima ventura la sua che, sendo nato d’umilissima stirpe in contado, e pascendo gli armenti, tanto s’alzasse col valore della sorte e della virtú, ch’egli meritasse di venire cavaliere onorato.
Nacque, secondo la opinione di molti, Andrea in una villa vicino a Mantova, e col tempo condotto in quella città, imparò l’arte della pittura. E fece molte opere nella sua giovanezza che li diedon nome e lo fecion conoscere; e da chi vide l’opere sue fu molto avuto in pregio, e massime in Lombardia da que’ signori fu poi molto stimato et in molte città fuor di quella provincia ancora. E perché fu amicissimo del marchese Lodovico di Mantova, in sua gioventú fama e grazia grandissima e favori infiniti ebbe appresso di lui. Et egli in molte cose mostrò di stimar molto la virtú sua e d’averla in grado et in bonissimo pregio. Perché Andrea gli dipinse nel castello di Mantova nella cappella di quello una tavoletta, nella quale con storie di figure non molto grandi mostrò che meritava gli onori che gli erano fatti, perché questa opera è molto stimata fino al presente da tutti i lodati ingegni. In detto luogo similmente è una camera con una volta lavorata in fresco, dove sono dentro molte figure che scortano al di sotto in su, molto lodate certamente, e da lui benissimo considerate. Et ancora ch’egli avesse il modo del panneggiar suo crudetto e sottile, e la maniera alquanto secca, e’ vi sono però cose con molto artificio e con molta bontà da lui lavorate e ben condotte. Fece ancora in Verona nella chiesa di Santa Maria in Organo a’ frati di Monte Oliveto la tavola dello altar maggiore, la quale ancora oggi è tenuta cosa lodatissima, et ancora sono altre pitture di sua mano in quella città. Alla badia di Fiesole fuor di Fiorenza, al monastero de’ canonici regolari, è un quadro d’una mezza Nostra Donna sopra la porta della libraria, con diligenza lavorato da lui. Fece ancora a Vinegia alcune cose che sono lodatissime; et al detto marchese, per memoria dell’uno e dell’altro, nel palazzo di San Sebastiano in Mantova dipinse il trionfo di Cesare intorno a una sala, cosa di suo la migliore ch’e’ facesse già mai. Quivi con ordine bellissimo situò nel trionfo la bellezza e l’ornamento del carro; colui che vitupera il trionfante, i parenti, i profumi, gli incensi, i sacrifizii et i sacerdoti, i prigioni e le prede fatte per gli soldati e l’ordinanza delle squadre e tutte le spoglie e le vittorie; e le città e le rocche in vari carri contrafece, con una infinità di trofei in su le aste, e varie armi per in testa e per indosso, acconciature, ornamenti e vasi infiniti; e tra le moltitudine de gli spettatori, una donna che ha per la mano un putto, che essendoseli fitto una spina in un piede, lo mostra alla madre e piagne, cosa bellissima e naturale. E certo che in tutta questa opera pose il Mantegna gran diligenzia e fatica non punto piccola, non guardando né a tempo né a industria nel lavorare; e di continuo mostrò avere a quel principe affezzion grandissima, da che e’ faceva cortesie sí rare alla sua virtú, innamorato in tutto di quella. Finita questa opera, fece a San Zeno in Verona la tavola dello altar maggiore, de la quale dicono che e’ lavorò per mostra una figura bellissima, avendo gran volontà di condurre tal lavoro. Le cose che fece in Mantova, e massimamente quella sala, furon cagione che egli fu tanto nominato per Italia, ch’altro non si udiva che ’l grido del Mantegna nella pittura.
Avvenne che, essendo la virtú sua accompagnata da costumi e da modi buoni, udí le sue maraviglie Papa Innocenzio VIII, il quale avendo fabricato a Roma la muraglia di Belvedere, con paesi e pitture bellissime desideroso di adornarle, mandò a Mantova per il Mantegna; et egli subito se ne venne a Roma con gran favore del marchese, che per maggior esaltazione e grandezza lo fece allora cavaliere a spron d’oro. Il papa, fattoli gran favori in questa arrivata e vedutolo lietamente, gli fece fare una cappella picciola in detto luogo; la quale con diligenza e con amore lavorò minutissimamente di tal maniera, che e la volta e le mura paiono quasi piú tosto cosa miniata che dipintura, e le maggiori figure che vi sieno, sono sopra l’altare, le quali egli fece in fresco come le altre, il Battesimo ciò è di Cristo per San Giovanni Batista, che lo accompagnò con angeli e con altre figure; et in questa fece ancora i popoli, che spogliandosi fanno segno di volersi battezzare. E fra gli altri gli venne capriccio di fare una figura, che si cava una calza che per essersi per il sudore appiccata alla gamba, colui la tira a rovescio, appoggiandosela allo altro stinco, con tanta forza e disagio che e l’una e l’altro gli appare nel viso; cosa che fu tenuta molto in que’ tempi in maraviglia e venerazione. Dicesi che Papa Innocenzio per le occupazioni che aveva, non dava cosí spesso danari al Mantegna, come esso avrebbe voluto; per il che si risolse di dipignere in tal lavoro alcune Virtú di terretta, e fra l’altre fece la Discrezione. Onde il papa un giorno venuto a veder l’opra, gli domandò che figura fosse quella; egli rispose essere la Discrezione. Allora disse il papa: "Se vuoi ch’ella stia meglio, favvi allato la Pazienzia". E cosí fu cagione che Andrea si tacque, et aspettò il fine dell’opera; la quale poi che fu finita, il papa con onorevoli premii al suo duca lo rimandò. Fece poco da poi in Padova sopra la porta del Santo, uno archetto dove si vede scritto il suo nome; e ne’ Servi della medesima città, dipinse la cappella di San Cristofano con bellissima grazia. Appresso ritornato a Mantova, murò e dipinse per uso suo una bellissima casa, la quale si godette mentre che e’ visse. Dilettossi ancora de l’architettura, et accomodonne molti suoi amici. Per il che avendo già pieno il mondo di fama e di opere, con dispiacere grandissimo di chi lo amava, si morí nella età di anni LXVI nel MDXVII. E con esequie onorate fu sepelito in Santo Andrea, e gli fu fatto questo epitaffio:
ESSE PAREM HVNC NORIS, SI NON PRAEPONIS, APELLI,
AENEA MANTINEAE QVI SIMVLACRA VIDES.
Tiensi ancora memoria grandissima dello onorato viver suo e de’ costumi lodevoli che egli aveva, e dello amore col quale insegnava l’arte a gli altri pittori. Lasciò costui alla pittura la difficultà degli scorti delle figure al di sotto in su: invenzione difficile e capricciosa; et il modo dello intagliare in rame le stampe delle figure, comodità singularissima veramente; per la quale ha potuto vedere il mondo, non solamente la baccanaria, la battaglia de’ mostri marini, il Deposto di croce, il Sepelimento di Cristo, la Resurressione con Longino e con Santo Andrea, opere di esso Mantegna, ma le maniere ancora di tutti gli artefici che sono stati. |
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Ludovicio Gonzaga
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